Saggi
 

Scritti
 
Rss feed scritti
Josef Paul Kleihues. Un itinerario progettuale attraverso il museo.
Autore: Michele Costanzo
Saggi "Mi è sempre piaciuto il deserto. Ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla. E tuttavia qualcosa risplende in silenzio...
'Ciò che abbellisce il deserto', disse il piccolo principe,' è che nasconde un pozzo in qualche luogo...'
Fui sorpreso di scoprire d'un tratto quella misteriosa irradiazione di sabbia. Quando ero piccolo abitavo in una casa antica, e la leggenda raccontava che c'era un tesoro nascosto. Naturalmente nessuno ha mai potuto scoprirlo, né forse l'ha mai cercato. Eppure incantava tutta la casa. La mia casa nascondeva un segreto nel fondo del suo cuore...
'Sì', disse il piccolo principe, 'che si tratti di una casa, delle stelle o del deserto, quello che fa la loro bellezza è l'nvisibile' ". Più avanti il piccolo principe aggiungerà: "Ma gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare col cuore"(1).
Nel territorio sospeso della favola, fatto di "costruzioni eteree", di "giuochi di una volubile immaginazione", come scrive Goethe, "che fluttua tra il reale e l'impossibile"(2), sembra che quel modo così fantasioso di presentare il mondo, al fondo abbia sempre teso a mettere in scacco le più radicate convinzioni circa il valore oggettivo della realtà. Essa ci insegna a considerare le immagini delle cose come se si presentassero all’ occhio che le percepisce, in maniera sdoppiata: in modo net tamente definito nella loro oggettiva evidenza, e anche in maniera più segreta, indefinibile, a volte inquietante. Per riuscire a delineare i margini dell'inesplorabile, ci esorta il piccolo principe a "cercare col cuore"; il desistere, ci avverte Adorno, "si traduce nel sacrificio dell'intelletto"(3).
In questo modo, resa desta la nostra attenzione nei confronti del quotidiano, il fluire impercettibile della realtà, viene ad arricchirsi di un sentimento di attesa, di sospensione temporale, come una pausa infinitesimale fra due note che l'intelletto può colmare di tutte le possibili elaborazioni fantastiche. È la rivincita del minimale, dell'ordinario, del residuale, che così riescono a conquistare una loro valenza auratica.
Si tratta, allora, di risvegliare in noi i valori della nostra in fanzia perduta: l'ingenuità e la fantasia. Nella favola di de Saint-Exupéry c'è una dedica assai significativa che l’autore fa a un suo amico, "a una persona grande", e di questo, trat tandosi di un racconto per l'infanzia, si scusa con i suoi piccoli lettori. "E se tutte queste scuse non bastano", aggiunge, "dedicherò questo libro al bambino che questa persona è stato. Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano). Perciò correggo la mia dedica: a Leone Werth, quando era bambino"(4).
L'interesse per il magico, il fantastico, il leggendario che -come ha notato V. Magnago Lampugnani(5) - in Kleihues si manifesta nell'interesse per favole come quella de II piccolo principe, o de II Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien, mette in rilievo un aspetto fondamentale della sua ricerca.
La favola ha, infatti, il pregio di parlare di cose permanenti ("non di lampadine elettriche, ma di fulmini"(6), di valori stabili, assoluti che risiedono nel fondo della coscienza dell'uomo. Essa svela inoltre un'interiore tensione, che esiste in ogni essere, a oltrepassare sistematicamente la realtà empirica, facendo appello all’immaginazione.
Ha scritto E. Zolla, a proposito della monumentale epopea cavalleresca de II Signore degli Anelli, che l’autore parla "di ciò che tutti affrontiamo quotidianamente negli spazi immutevoli che dividono la decisione dal gesto, il dubbio dalla risoluzione, la tentazione dalla caduta e dalla salvezza. Spazi, paesaggi uguali nei millenni, ma da lui riscoperti in occasioni prossime a quelle che noi stessi abbiamo conosciuto"(7).
Nell'articolo noro lim, noro lim, Asfaloth!, il cui titolo ri prende un grido d'incitazione a un estremo atto di salvezza da parte di un personaggio del libro di Tolkien, Kleihues critica aspramente il progressivo impoverimento dei valori della ricerca architettonica avvenuto, in questi ultimi anni, a causa di una sempre più marcata dipendenza nei confronti di nuovi tecnicismi entrati ormai a far parte del quotidiano ausilio del lavoro progettuale, che condizionano e limitano il processo ideativo e costruttivo. Si tratta, egli scrive, di una "graduale sottomissione del nostro pensiero e della nostra attività al dilagante sistema di superficiale procedimento metodologico"(8). I sistemi che tendono a ingabbiare l'iter progettuale all'interno di logiche e procedure che considerano come unici valori gli aspetti funzionali ed economici, non tengono nel giusto conto la complessità e la centralità del problema che attiene alla definizione formale dell'oggetto architettonico: "essi hanno dimenticato da lungo tempo la possibilità che l'architettura offre come tonico contro un mondo sempre più ammi nistrato, dove cliente e architetto insieme producono buone soluzioni liberandosi dalle responsabilità e dagli impegni"(9). Kleihues sembra voler ripercorrere alcuni temi nodali della critica adorniana alla società avanzata, dove l'uomo viene visto in condizione di subordinazione alla macchina produttiva. "Nell'epoca attuale", scrive il filosofo francofortese, "gli uomini si sono fatti divorare dalla tecnica, e questa, come se gli fosse stata trasmessa la miglior parte degli uomini, li abbandona dietro di sé come gusci vuoti"(10).
Venutasi a rompere l'unità arcaica tra produttore e lavoro, tra coscienza ed esperienza, attraverso un reciproco processo di estraniazione, l'umanità sembra perdersi nel desolato paesaggio dell’Aufklärung. La divisione del lavoro agisce negativamente sull'uomo, nel senso che le capacità che nel tempo "si sono sviluppate in un processo d'azione e reazione reciproca, si atrofizzano non appena vengono separate l'una dall'altra [...]. La fantasia, oggi assegnata alla sfera dell'inconscio è proscritta dalla conoscenza come rudimento acritico e infantile, è quello che, in realtà, stabilisce il rapporto tra gli oggetti, in cui ha origine, per forza di cose, ogni giudizio: espulsa la fantasia, è esorcizzato anche il giudizio, il vero atto conoscitivo"(11).
Si tratta di una società che, nel suo continuo tendere da un lato alla conservazione e dall'altro a una espansione tutta mirata al profìtto, ha perduto il proprio fine umano. In questa fase la distanza che separa l'uomo dalla felicità e dalla conciliazione futura è la stessa che lo separa dalla sua arcaica innocenza. Solo l'arte e l'amore per l'ingenuità e l'infanzia, lo potranno guidare alla riconquista della condizione arcaica della natura, per cui sarà possibile affermare, con K. Kraus "Ursprung ist das Ziel"(12) (origine è la meta); dove si può rileggere la visione schilleriana della natura redentrice: "Essi sono ciò che noi eravamo; sono ciò che noi dovremmo tornare ad essere"(13). Ma la logica che sovrintende all'opera d'arte è opposta rispetto a quella che governa il mondo empirico: esiste, infatti, in essa un doppio atteggiamento, un dualismo, per cui risulta essere dentro la storia e contemporaneamente al disopra dei dati provenienti dalla realtà storica del proprio tempo. Nell'opera d'arte, realtà e irrealtà si compenetrano dando vita a degli esiti formali che, pur affondando le proprie radici nel reale, risultano essere apparenza e imago.
"A ogni grado estetico", afferma Adorno, "si rinnova l'antagonismo tra l'irrealtà dell’imago e la realtà del contenuto sto-rico che si manifesta"(14).
Dall'architetto è logico attendersi un atteggiamento innova-tivo, "non solo ciò che può essere considerato normale e scontato", precisa M. Sack, ma "l'inaspettato e l'inconfondibile"(15). L'arte si presenta, allora, come una sorta di scrittura cifrata, un enigma, ma anche come l'immagine di un mondo diverso e migliore, oppure come "altro" dal mondo, cioè l'Assoluto. A Kassel, nel 1988, in occasione della mostra "Documenta", dove Kleihues fu invitato a esporre con gli amici Baselitz e Lupertz, in un ambiente da lui progettato denominato "Museum der drei geometrischen Raüme"(16), presentò un suo lavoro assai significativo a carattere grafico-letterario intitolato: Le sette colonne dell'architettura(17). Si tratta di un gruppo di sette brevi componimenti poetici ("La Geometria", "La Costruzione", "L'Armonia", "La Perfezione", "La Funzione", "L'Utopia", "La Poesia"), "commentati" da altrettante illustrazioni. A questi "sette puntelli", egli affida il compito di sostenere l'organica costruzione del proprio universo progettuale.
Pensiamo non sia casuale la stretta analogia del titolo di quest'opera con il celebre The Seven Lamps of Architecture, in cui Ruskin poneva l'arte come punto di arrivo di una comples sa trama di rapporti intercorrenti tra aspetti economici, tec-nologici e sociali, e così scriveva all'inizio del primo capitolo:
"l'Architettura è l'arte che acconcia e adorna gli edifici eretti dall'uomo per qualsiasi impiego, in modo tale che il vederli possa contribuire alla sua salute, al suo vigore e al suo pia-cere intellettuale" (il corsivo è nel testo); e aggiungeva il se-guente aforisma: "Tutta l'Architettura si propone di influire sullo spirito dell'uomo, non solo di offrire un servizio per il suo corpo"(18).
Nello stesso modo, Kleihues ritiene che l'architettura non possa migliorare quando venga a mancare l'elemento artistico, tuttavia crede che non sia possibile evitare le contraddizioni insite nella realtà in cui viviamo. In questo senso, analogamente ad Adorno, egli reputa non esserci oggi altro metro di misura per la bellezza, se non l'intensità con cui le forme vivono le contraddizioni che attraversano, e il loro superamento è possibile solo assecondandole e non nascondendole.

Le sette colonne, singolare lavoro a carattere critico-autobiografico, può essere interpretato come un viaggio mentale e sentimentale che Kleihues compie, sotto le sembianze di Archeo, per raggiungere la "fonte dell'architettura", una scaturigine con sette differenti bocche d'uscita, dove la ragione si fonde con la passione; la geometria e la regola, con l'utopia e il sentimento poetico.
La vicenda prende le mosse dall'arrivo di Archeo presso le sabbiose sponde dell'Egeo. Egli proviene da un mondo arcaico, preistorico ("noch in den Schultern / die fruchtbare Feuchtigkeit des Waldes / sah"(19). Sulla spiaggia scopre le tracce lasciate da un bastone e da una corda, da cui deduce i concetti di Regola e Misura. Giunto dinanzi alle vestigia di un tempio, riconosce il valore della pietra, ossia del materiale di cui sono costituite le travi e i pilastri, gli elementi strutturali primari degli edifici, e la sua capacità di risplendere sotto il sole e di resistere all'erosione del tempo ("Tod und Ewigkeit"(20). In seguito apprende le leggi dell'armonia musicale e l'abilità di organizzare le diverse parti di una costruzione in un accordo che sia espressione consapevole della ragione.
Ma, uscito dal mondo delle certezze, Archeo si smarrisce ("verkommt / empirisch genötigt / die Hoffnung der Neuzeit / in nützliche Welt"(21); comincia a precipitare come in una spi-rale dove si alternano incubi e speranze ("Babel und Uto-pia"(22). Giunto nel fondo del precipizio, Archeo si accorge di essere ritornato all'origine ("am Fuße der Neuzeit / an den Anfang / den Punkt des Lebens zurückgekehrt"(23), ma ormai ha conosciuto la facoltà di volare ed è in grado di leggere il mondo con un occhio nuovo, che è quello della poesia: "entdeckt er / im Modul des Fluges das Leben: / poesia quia re-gulae"(24).
Quest'ultimo verso, con cui si conclude anche l'ultimo componimento della raccolta, sembra prestarsi a una doppia interpretazione: poesia in quanto regola, ma nello stesso tempo, invertendo l'ordine della frase, regola in quanto poesia. La congiunzione (quia) sembra porsi come perno di una ideale bilancia, su cui oscillano i due termini dell'espressione, se da un lato si afferma che la poesia è generatrice di misura e di ritmo, dall'altro si sostiene che la regola racchiude in sé la matrice stessa della poesia.
Nella sua architettura, Kleihues ha sempre cercato un preciso concetto di misura, un equilibrio interiore della figura, una segreta armonia del progetto nel suo costituirsi come immagine: un valore, peraltro, che appartiene alla storia costruttiva dell'uomo, dato permanente della sua coscienza. "La storia dell'architettura", egli afferma, "si è sempre orientata, in linea di principio, su massime molto semplici che ci sono state tramandate, in tempi lontani, da Vitruvio. Da una parte ci sono i Greci, cioè la discussione sulle misure e sui rapporti numerici, e successivamente, nel Rinascimento, l'armonia musicale che si è tentato di trasferire alle opere architettoniche. Durante il Rinascimento, si sviluppa poi la fase successiva che supera misura, numero e armonia musicale: la scoperta della misura-uomo, riscoperta da Le Corbusier, il quale l'ha utilizzata in modo egregio per la sua architettura"(25).
In uno scritto introduttivo all'opera di Kleihues, F. Werner nota che un tratto caratteristico dell'architetto berlinese è quello di possedere "la fondamentale capacità di presumere o intuire la coscienza collettiva"; è un'attitudine che egli esprime, attraverso modi di costruzione volutamente non eclatanti; nonostante questo (o a seguito di ciò), egli può considerarsi il "legittimo 'istruttore poetico' nella lotta contro il cieco sistema che privilegia le intenzioni guidate". Forse è per questa ragione che egli insegue un'architettura di "illimitata nostalgia", che vada "oltre la pura ragione o la realtà empirica". Quello che egli vuole rappresentare è un'architettura idealistica nel senso schellinghiano, di correlazione tra concetto e artefatto, o tra soggettivo e oggettivo. Ma, proprio perché sussiste dentro gli oggetti una componente irrazionale, essi non possono che costituire "l'incomprensibile base della realtà"(26).
Nella sua complessa riflessione, Kleihues approda presto a una solida impalcatura strutturale che alimenta una ricerca progettuale, cui darà il nome di "poetischer Rationalismus". In un recente articolo egli afferma: "Come razionalista, sono naturalmente un sistematico, con la pretesa di far valere un progetto anche sotto il punto di vista funzionale, tecnico, sociale e artistico. Attraverso l'idea del razionalismo poetico, questa pretesa si rende dialetticamente più ampia. Mentre infatti il concetto di razionalismo mira a una determinazione (nel senso di principio sviluppato), il termine poesia [...] si-gnifica spontaneità e superamento dei limiti, ideazione di un mondo dinamico, includendo l'ampiezza del sentimento dei sensi"(27).
Il processo ideativo di Kleihues, così profondamente radicato nel terreno razionale, si muove, come è stato osservato, in uno spazio in cui regnano "la ragione funzionalista e la tradizione classica"(28). Le origini di questa convergenza di indirizzi - che deve essere intesa come una condizione interiore dello spirito, che caratterizzerà in modo determinante la sua maniera progettuale - si possono individuare, in qualche misura, nel tratto temporale della sua formazione che va dall'ultimo periodo universitario ai primi anni d'avvio nel mondo del-la professione.
Trascorsi gli ultimi anni di studio a Stoccarda (1955-57) e poi a Berlino (1957-59), vicino a H. Scharoun, allora direttore dell istituto di Urbanistica della Technische Universität, per circa un anno (1959-60) sarà a Parigi, a seguito del conseguimento di una borsa di studio per la Scuola Superiore di Belle Arti.
Un quadro assai variegato d'interessi, già alle soglie della professione, si andava delineando, in maniera singolarmente complessa e articolata. Una curiosità vivace nel ricercare e nello sperimentare che lo porterà a impegnarsi nella progettazione fino alle scale estreme, dall'urbanistica al design (si pensi al motto rogersiano: "dal cucchiaio alla città"). Ma si dovrà anche tener conto di una speciale attrazione per il mondo delle arti figurative che porterà Kleihues a occuparsi, come vedremo, della progettazione di quei grandi "contenitori dell'arte" che sono i musei.
L'attenzione, fin dai primi anni Settanta, al classicismo tedesco, arricchita nel decennio seguente da importanti studi e progetti, costituisce una componente fondamentale nella costruzione del suo linguaggio. Un'eco della centralità del ruolo rappresentato da quel referente storico, nella definizione dei termini fondativi della sua ricerca, è possibile rileggere in una nota di commento al progetto per il Berliner Stadtreinigung: "La cultura edilizia berlinese è giovane e tuttavia può vantare molti aspetti diversificati. Ma la sua più nobile caratteristica è la semplicità. Questo deriva da una parte dal fatto che Berlino non è mai stata una città ricca, circostanza che occasionalmente qualcuno ha tentato di nascondere con una certa arroganza formale. Tuttavia, l'essenza di questa sem-plicità architettonica non si trova tanto nell'arte di fare di necessità virtù, quanto nella tradizione culturale di Berlino: il-luminismo, idealismo, umanesimo"(29).
La lezione che Kleihues trae da quel fervido periodo della cultura architettonica tedesca, non si esaurisce in quell'arco storicamente determinato che va dall'ultimo decennio del XVIII secolo al primo quarantennio del secolo successivo (dominato dalle figure di Gilly e Schinkel). Egli vede proseguire il suo effetto, in tempi più recenti, nell'attività di Behrens (con particolare attenzione alle fabbriche aeg di turbine e dei piccoli motori, realizzate a Berlino tra il 1910 e il 1911) e in quella di Mies van der Rohe, del quale nota che, unico in Germania negli anni Venti, "si è ricordato del passato riallacciandosi al valore filosofico della forza evocativa della forma in sé e del suo valore sulla base della capacità di tramandare significati"(30). Sulla traccia di questo percorso storico-critico va collocata l'esperienza progettuale del Block 270 a Berlin-Wedding (1971). L'occasione dell'intervento era nata a seguito del programma di sistemazione della Vinetaplatz, che si trova in una delle grandi aree di risanamento di Berlino: il Wedding, un insediamento urbano sorto tra la fine del XIX secolo e gli inizi del successivo, con i caratteristici isolati dagli stretti cortili interni, la "Berlino di pietra", secondo la definizione di W. Hegemann.
L'idea del piano era quella di riproporre le sagome degli edifici preesistenti, cercando di ritrovare un'omogeneità volumetrica complessiva nell'intera area.
Il progetto, che costituisce un tentativo di aderire alla tipicità del luogo, si distingue per il carattere pubblico dato alla corte interna, cui si accede attraverso quattro varchi praticati nella smussatura degli angoli, che riprende una vecchia tradizione berlinese.
Se, come ha asserito Kleihues, "l’isolato, il blocco [...] rappresenta [...] qualcosa come il microcosmo della città, un ingranare di pluralità funzionali e formali"(31), si può affermare che esiste una linea di continuità, quasi una cadenza progressiva, che lega l'esperienza del Block 270 con quella del progetto per Park-Lenné (che risale al 1976) e con la direziono organizzativa del piano per l'Internationalen Berliner Bauausstellung (IBA), che ha inizio nel 1979. Tale filo conduttore è costituito dalla stessa città di Berlino, il cui problema ricostruttivo improntato alla dialettica tra tradizione e moderno, pone la città come un fondamentale campo di sperimentazione, at traverso cui maturerà la sua visione di "ricostruzione critica" della città.
"La ricostruzione critica", egli scrive, "tenta solo di non farci abbandonare rassegnati la consapevolezza della crisi per cer care di nuovo riparo in un mondo intatto, bensì di rafforzare, in opposizione costruttiva con l'unità classica, la singolarità delle parti come parti di una totalità viva"(32).
Il Park-Lenné è un progetto destinato a una parte storica della città, una proposta esemplare (rimasta inattuata) d'intervento di recupero dell'area urbana centrale, situata tra Breitscheidplatz e Wittenbergplatz, consistente nel disegno di sei edifici a pianta quadrata, identici tra loro, ciascuno con un ampio cortile centrale. Le corti sono provviste di strade pavimentate e di vaste superfici erbose con fontane e pan chine.
L'insieme è fruibile mediante passaggi che si sviluppano su due piani. In caso di cattivo tempo, una copertura su struttu ra mobile di materiale trasparente, fornisce il necessario ri paro.
La sua azione all'interno dell'IBA(33) è stata una battaglia nata, egli scrive, come reazione alla lenta distruzione avvenuta "durante anni d'irriflessiva diffusione dell'edificio cosiddetto 'aperto' ", una volontà di ridefinizione "della 'condizione mo derna', attraverso la riconsiderazione delle componenti della progettazione urbana tradizionale"(34). L'idea era quella di una esposizione che si inserisse nel contesto urbano preesistente, per operare un suo organico riassetto.
E un'esperienza indirizzata lungo una linea di ricerca avente come tema dominante la città, considerata all'interno della dialettica del rapporto tra morfologia e tipologia, che si svi luppa secondo sistematiche contrapposizioni tra nuovo ed esistente, tra passato e presente, tra memoria e progetto. Diffusi ormai in Europa, all'inizio degli anni Settanta, gli stu di di Rossi e Aymonino, sul disegno della città, Kleihues ne venne fortemente attratto; soprattutto restò colpito da quel modo di procedere di Rossi nella progettazione: tra memoria, sogno e realtà. "Indiscusso è il merito di Rossi", scrive Kleihues, "se adesso si prende di nuovo nella dovuta considera zione la storia della città e i suoi rapporti spaziali tipologica mente interessanti"(35). Ma il suo sarà un atteggiamento di studio e di riflessione non privo di un certo distacco critico: "sa rebbe più convincente parlare di tracce di memoria che hanno influenzato il nostro lavoro senza tuttavia determinarlo. In fatti, il concetto del nostro lavoro, l’idea di una ricostruzione critica della città è in contrasto con la teoria riduttiva di Rossi che sottolinea i rapporti con il passato - più aperta e più propensa alla sperimentazione; nella visione di un'unità non superficialmente armoniosa ma dialetticamente strutturata ci dichiariamo di seguire, come obbiettivo e metodo, ciò che offre contrasti e contraddizioni"(36).
Da questo momento trova origine quella particolare attenzione al contesto, che si rifletterà nella definizione di un linguaggio, sempre più intenso e consapevole. L'analisi urbana, gli studi sulla città, l'idea di principio insediativo, costituiranno la base su cui definire con sempre maggior chiarezza, il ruolo centrale del concetto di luogo, posto a fondamento del progetto.
I lavori successivi saranno tutti orientali verso la ricerca di una consonanza con il contesto. Non potrà più sussistere un'ipotesi di conciliazione o di assimilazione apparente tra nuovo e preesistente, e proprio il carattere del "confronto" tra realtà e progetto assumerà valore di linguaggio, o di tensione verso di esso.
L'opera di Kleihues, interamente tesa a perseguire un'espressione asciutta ed essenziale, risulta pervasa da una intensa carica comunicativa, dove "il concetto e la prassi della memoria giuocano un ruolo decisivo", nel momento in cui affiora la consapevolezza che "la capacità di ricordare e la di sponibilità a ricordare [... ] implica [... ] l'interesse per ciò che dovrebbe essere o divenire"(37)
Tale indirizzo ha le sue radici in quello che C. Baldus chiama il "principio della duplicazione", la cui dialettica è data, secon do Kleihues, "dal mutamento di tempo e luogo"(38), in relazione stretta con i concetti di tradizione e di moderno. Tale nozione rappresenta una figura fondamentale della dialettica classi ca, reinterpretata in chiave moderna, che mira (attraverso una serie di manovre strategiche quali la serialità, il differimento, la sovrapposizione e la trasposizione) a non lasciarsi circoscrivere in una sintesi finale.
"Per prima cosa", scrive Baldus, "non si dovrebbe accettare come necessario l’attuale neo-storicismo, che influenza la scienza, la politica, l'arte e perfino la vita quotidiana, ma dovremmo porci in termini critici la domanda circa le sue con-nessioni sociali e la sua definizione ideologica"(39). E più avanti: "la storia dell’architettura, che [...] ha parte molto rilevante dentro il movimento del neostoricismo e della tendenza postmoderna, è leggibile [...] come il difficile cammino su cui le forme rappresentative si offrono come sostituto di ogni bisogno, ma non riesce a essere soddisfatta da fattori materiali, economici e meccanici"(40).
Per chiarire meglio la sua visione, Baldus si rifà a un saggio del giovane Nietzsche contenuto in Considerazioni inattuali, intitolato "Sull'utilità e il danno della storia per la vita", che rappresenta la prima fondamentale critica, nel tardo Ottocento, di uno degli aspetti dominanti della cultura del secolo, lo storicismo. Il tema di fondo di questo scritto è costituito dalla problematica derivante dal consumo delle forme della tradizione (il Nebeneinander degli stili) che, recuperate come relitti di un passato storico sempre più lontano, vengono impiegate a fini decorativi, intrise di romantica nostalgia delle origini. All'uomo, secondo Nietzsche, non deve interessare una storia diretta solo a delineare nel passato "un corso logico degli eventi", ma piuttosto una storia che illumini e giustifichi il presente, per dare un senso all'esistere: "Certo noi abbiamo bisogno di storia", egli scrive, "ma ne abbiamo bisogno in modo diverso da come ne ha bisogno l'ozioso raffinato nel giardino del sapere [...] ne abbiamo bisogno per la vita e per l’azione [...]. Solo in quanto la storia serva la vita, vogliamo servire la storia"(41).
In un articolo presentato insieme, nel catalogo dell'ultima Triennale, Kleihues e Baldus scrivono: "non il lutto nostalgico per ciò che non è più e, in modo complementare, per ciò che non è ancora, genera la forza produttiva e il gioco dei significati, ma la differenza, che nel lutto armonizzante celebra soltanto le sue ombre. [...] Storia dunque [...], ma collocata nel campo tensivo tra l’avvenuto, su cui riflettere, e l'avvenire, da preprogettare"(42).
Dallo storicismo, secondo Baldus, è possibile desiderare non soltanto una prassi architettonica o filosofica, ma un metodo storiografico, ossia un criterio di lettura del reale che metta in grado ognuno di ricordare e descrivere per operare, quindi, una "ripetizione". "In questo modo si annuncia la seconda catena di associazioni, secondo la critica nietzschiana allo storicismo, una catena a cui punta il nostro tentativo di raggiungere un certo distacco dal potere sconvolgente del passato"(43). In questo, Baldus intravede un curioso parallelismo tra "il sistema dell'idealismo e la teoria di Freud"(44) della cura di un fatto traumatico.
L'intervento di "risarcimento", come viene sviluppato nel Traumdeutung, mette in evidenza come la vita mentale si organizzi "non in un solo sistema esclusivo, ma in una varietà di sistemi che si escludono parzialmente, interferiscono, si completano"(45), ma non si trovano mai in un ordine di logiche corrispondenze. Nella pratica dell''anamnesi freudiana, attraverso il vaglio analitico i fatti repressi si distaccano riaffiorando alla coscienza. Il ricordo è, dunque, una "ripetizione" dell'evento traumatico che induce a un lavoro critico di separazione tra l’Io e l’Es.
Baldus ne deduce che la psicoanalisi freudiana "apre la porta a un altro modo di comprendere la storia, non lineare [...], in quanto ogni progetto rivolto verso il futuro non può essere la ripetizione del passato. Il tempo si collega ad un controtempo, il movimento ad un contromovimento"(46).
Un esempio paradigmatico di tale impostazione concettuale è dato dall'allestimento, realizzato nel 1987 da Kleihues (con la collaborazione di Baldus), della mostra intitolata "750 anni di architettura e urbanistica a Berlino", tenutasi all'interno della Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe.
L'itinerario espositivo prende le mosse da uno spazio d'accesso a forma di imbuto che regola gli ingressi in otto ambienti, entro cui vengono presentati i materiali illustrativi dei periodi fondamentali della storia dell'ex capitale tedesca. Gli otto settori, in comunicazione tra loro tramite dei passaggi laterali, consentono la possibilità di "vedere in continuità il trascorrere di 750 anni di storia, come pure di tralasciare eventualmente la visione di alcuni periodi"(47). Nel fondo, in posizione ortogonale rispetto all’asse d'entrata, si succedono, affiancati, sette piccoli ambienti che accolgono, come documenti di attualità della nuova architettura e urbanistica berlinese, i risultati dei diversi interventi di recupero urbano e delle nuove costruzioni dell'IBA. Infine, ai lati dell'atrio, si trovano due tribune che si fronteggiano; esse costituiscono la chiave di accesso all'idea base del progetto espositivo: la visualizzazione di un concetto di conoscenza raggiunta attraverso la forma del dialogo, della comunicazione; "Le due tribune che si fronteggiano, rappresentano la dialettica di un rapporto comunicativo, del parlare e dell'ascoltare. [...] Un giuoco di domande e risposte in cui le immagini cercano continuamente di collocarsi in un ordine differente, dove viene indagata ogni possibile interpretazione, dimostrando, in questo modo, che l'immagine è solo un mezzo relativo e provvisorio del processo architettonico, [...] ma ancora non sufficientemente approfondito nelle sue potenzialità espressive"(48).
Ricordare significa rivedere criticamente il passato, "contenuto nella memoria che lo preserva"(49), operando un distacco liberatorio da esso. Il tema museale, in questo senso, chiama in causa direttamente l'attività del "rammemorare", le cui implicazioni in campo progettuale hanno esercitato in Kleihues una profonda attrazione ("l'ultimo spazio aperto per esercitare l'arte o la progettazione con ambizioni artistiche"(50), in quanto liberando il progettista dall'obbligo di os-servare norme o vincoli tipologici troppo costrittivi, asseconda le sue più sfrenate ambizioni nella ricerca linguistico-formale, offrendosi come "una speciale sfida alla sperimenta-zione"(51). È una ricerca che procede nel territorio sospeso tra realtà del presente e astrazione del ricordo, avvalendosi degli ineffabili meccanismi di libere associazioni mentali, basati sulla logica delle somiglianze, affinità, analogie, assonanze.
Esempi significativi dell'attività progettuale di questo periodo, sono due studi per le case dei suoi amici M. Lupertz e G. Baselitz, che risalgono al 1972. Pur essendo i due edifici differenti tra loro dal punto di vista formale, entrambi si basano sul comune principio dell'impiego di volumi geometrici semplici.
Il volume è attraversato da due assi: il primo, che appartiene alla geometria della figura, lo percorre diagonalmente, l'altro, che deriva dal disegno del giardino in cui è inserito, lo trapassa centralmente concludendosi in un solido semicilindrico di ridotte dimensioni, posto accanto a uno dei lati della costruzione. Addossata a un lato dell'edificio, si trova una piccola galleria vetrata.
La simbologia di tale progetto non è di facile decifrazione: numerosi sono i riferimenti ai materiali figurativi elaborati dall'amico artista, tra cui il più ricorrente e il più caratteristico risulta essere l'immagine del "fiore" che, in questo caso, prende la forma di un asse che si va a innestare in un corpo semicilindrico (tale referente floreale trova eco nella fitta trama vegetale che investe la copertura dell'edificio), in cui si può rileggere tanto il "simbolo della Grecia", quanto quello delle "absidi dell'architettura cristiana".
D'altra parte, la stessa struttura a cavalletto, che rappresenta la figura base del progetto, non è che la trasposizione ingigantita di un tipico "elemento" di D. Judd, un artista minimalista a cui Kleihues ha inteso rendere omaggio.
La lunga teoria di allusioni, rinvii, riferimenti, ricordi, prosegue con il p

Saggi