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Il Museo Mac/Val di Jacques Ripault
Rivista Metamorfosi N° 64
di gennaio/febbraio, 2007
Autore: Michele Costanzo
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Il Musée Dipartimental d'Arte Contemporain du Val-de-Marne, è situato lungo un ampio asse viario che, dalla parigina Port-à-l'Anglais attraversa Ivry, e giunge a Vitry, la banlieu dove Jacques Ripault ha realizzato il nuovo museo denominato Mac/Val (1991-2005).
Il sito scelto per la nuova costruzione occupa l'angolo nord-ovest dell'incrocio formato dall'avenue Henry Barbusse, e dall'avenue Eugène Pelltan. Nella rotonda centrale, la massa volumetrica della gigantesca scultura di Jean Dubuffet, Chaufferie avec cheminée, avvolta da dinamici segni neri e brillanti colori, da un lato, sembra porsi come una sorta di gioioso annuncio/segnale ai frettolosi passanti, o a chi già sosta nell'antistante piazzale d'ingresso dello spazio espositivo e, dall'altro, per contrasto, sembra voler accentuare il carattere della meditata, scarna, raffinata semplicità dell'immagine della nuova costruzione.
L'area su cui sorge il Mac/Val è ricca di verde e di alberi, diversamente dall'intorno urbano in cui si trova inserito, disgregato, e privo di una sua struttura ordinatrice, con costruzioni contrassegnate da continue variazioni scalari.
Uno dei principali obiettivi di Ripault è stato, allora, quello di evitare di configurare il nuovo inserto come un elemento da contrapporre a tale discontinua realtà edilizia, proponendo piuttosto una costruzione "permeabile" nei confronti della città, ad estensione orizzontale, e ad un piano; contraddistinta da un impianto spaziale chiaro e comunicativo, finalizzato alla facile percorribilità, da parte del pubblico, dei suoi spazi interni ed esterni.
Tale intento è rappresentato dall'autore attraverso l'impiego di un apparato d'elementi formali dal segno corposo, asciutto, essenziale, evitando soluzioni spettacolari di facile richiamo, non rinunciando tuttavia ad elaborare dettagli dalla forte valenza iconica, nonché situazioni spaziali accattivanti e ricche di stimoli percettivi.
A questa prima impostazione di base, si lega direttamente la seconda che riguarda la decisione di conferire a tale nuova realtà costruttiva il senso del radicamento al luogo, proprio a seguito della generalizzata mancanza di struttura spaziale del contesto. Per questo fine, l'autore ha così introdotto, come elemento ordinatore dell'impianto progettuale: due assi che s'incrociano come un cardo e decumano (come, peraltro, egli stesso indica nella pianta). Tale operazione, sembra non voler tendere a regolare solamente lo sviluppo volumetrico/spaziale dell'edificio, ma aldilà di ciò, puntare, in senso del tutto teorico, ad un'estensione dell'effetto "rigeneratore" della valenza ordinatrice delle due storiche direttrici, al disordine territoriale circostante.

Per comunicare l'essenza architettonica del progetto del Mac/Val attraverso un'immagine incisiva e poetica, lo scrittore François Bon, amico di Ripault, si è avvalso di un verso di Reiner Maria Rilke: «[...]comme des lames plantée dans la terre» .
In effetti, per configurare il suo edificio l'architetto ha utilizzato delle "lame", che sono delle pareti verticali monocrome; esse definiscono l'esterno e l'interno della costruzione, senza tentare di chiudere, di isolare gli spazi, ma cercando di stabilire un reciproco rapporto di diretta e immediata comunicazione. Tali "lame" dai molteplici impieghi, filtrano dunque la luce, segnano le percorrenze, configurano l'immagine volumetrica, senza sottrarsi, peraltro, al sottile gioco percettivo del nascondere e dello scoprire che sostanzia la qualità, e il carattere proprio dello spazio.
Lo schema dell'impianto parte da un sistema di percorsi interni di tipo continuo che mette in diretta comunicazione, a partire dalla hall d'ingresso, corredata da attrezzature pedagogiche, ogni nucleo della struttura culturale. Così, a destra dell'entrata, si trovano due vasti ambienti espositivi predisposti rispettivamente per mostre temporanee e permanenti. La loro organizzazione spaziale è concepita in modo fluido e continuo, e i mezzanini hanno la funzione di moltiplicare i punti di vista sulle opere. L'illuminazione naturale proviene, sia da ampie aperture parietali (che mettono il visitatore in contatto visivo anche con il giardino), che da lucernari a soffitto dotati di due differenti disegni: uno, a lame inclinate per l'ambiente destinato alle mostre temporanee e l'altro, ad U rovesciate (con aperture vetrate lungo il lato nord) per quello predisposto per esposizioni permanenti. A sinistra dell'entrata, s'incontrano: la libreria, il ristorante, l'auditoriun-mediateca, gli uffici, che sono ad un livello superiore, raggiungibili tramite una confortevole scala e un ascensore, e, infine, i laboratori e ateliers. A questo insieme di spazi bisogna aggiungere quello del giardino destinato anch'esso all'esposizione dell'arte, ma a diretto contatto con la natura.
Pur all'interno di una scelta progettuale di tipo riduzionista, l'autore non ha rinunciato a caratterizzare la struttura espositiva con apporti a carattere iconico destinati, a volte, a diventare slogan, o logo del museo stesso: in questo caso si tratta del binomio cromatico bianco-nero (bianche le pareti e nero il pavimento); e questo, afferma l'architetto: «[...] pour laisser la parole aux œuvres » . E, ancora, per rappresentare un collegamento visivo e concreto tra l'esterno e l'interno, l'introduzione di un piano di calpestio di colore nero posto in continuità con la topografia del sito, come implicita sollecitazione rivolta agli abitanti del quartiere ad entrare nel museo come in un luogo della città.
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