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L’idea di “movimento” nell’architettura di UN Stdio
Rivista Metamorfosi N° 48
di gennaio febbraio marzo, 2004
Autore: Michele Costanzo
Articoli Il tema del movimento, della dinamicità, può considerarsi il nucleo centrale della ricerca progettuale di Ben van Berkel e Caroline Bos (UN Studio), il soggetto teorico che sostanzia il loro percorso ideativo-operativo.
Una questione, quella della mobilità, estremamente attuale, che interessa numerosi gruppi di ricerca sia in Europa che negli USA. Non a caso, la recente "Internationale Architectuur Biënnale Rotterdam 2003" ha sviluppato proprio tale tema, intitolando la manifestazione "Mobility".
Ma l'interesse della Biennale -a cui, peraltro, ha partecipato UN Studio- era maggiormente sensibile allo scenario urbano, al contrario, l'attenzione di Van Berkel e Bos, nonostante la loro attività professionale copra l'intera gamma della progettualità (dal manufatto a piccola scala all'intervento a dimensione urbana), sembra essere prevalentemente rivolta all'oggetto architettonico, in quanto interlocutore privilegiato.
Il loro sforzo primario è, dunque, quello di applicare la nozione di movimento all'edificio, nonché allo spazio che esso definisce, per misurarne i possibili sviluppi.
Essendo la disciplina architettonica basata su presupposti statici, movimento, transitorietà non sono condizioni che le appartengono. L'operazione di UN Studio è, dunque, quella di forzare tale connaturata restrizione.
Non si può non notare che tale soggetto -seppure affrontato da UN Studio con una metodologia del tutto particolare- abbia preso l'avvio con il nascere del Novecento, con i primi movimenti d'avanguardia: in particolare con il Futurismo, con le esperienze scultoree di Boccioni, pensiamo, tra le sue numerose opere a Sviluppo di bottiglia nello spazio o a Forme uniche nella continuità dello spazio. In esse, per rappresentare un corpo in movimento, l'artista calabrese non cercava di tracciarne la traiettoria, ossia il passaggio da uno stato di riposo a quello successivo, ma di determinare un'immagine che fosse in grado di raffigurare in sé, attraverso la sua configurazione plastica, la continuità e la sintesi della sua azione dinamica nello spazio.
L'intento di Van Berkel e Bos, nella rappresentazione del movimento tramite la figura architettonica, al di là dell'apparente analogia è, dal punto di vista ideologico, assolutamente opposto: per il Futurismo, il movimento è la metafora della macchina, simbolo della modernità e del progresso, per UN Studio il movimento rappresenta l'essenza di una realtà priva di ordine e in continua trasformazione. Nel vortice incessante in cui essa si manifesta, tra le molteplici componenti che costituiscono la sua essenza, si debbono registrare continue interferenze: ed essa diventa, così, la base operativa della loro azione progettuale.
L'interesse che essi vedono nell'interferenza risiede nel suo costituire un ordine improvviso, non programmato. L'architettura, in questo modo, non fa che fissare un assetto temporaneo che prende forma attraverso un sistematico processo d'interazione, di ingerenza, di ibridazione. Tale sistema intrusivo, è regolato dall'uso del diagramma che, come afferma Gilles Deleuze, più che rappresentare, costruisce una realtà che deve ancora attuarsi.
Attraverso la matrice diagrammatica, vengono raccolte le esigenze più diverse, da quelle del committente, a quelle del contesto o, anche, di genere concettuale come l'inquietante figura di Manimal, il morphing prodotto della fusione di tre distinte immagini: un leone, un serpente e un uomo che, non a caso, compare come controcanto della parola Move (che da il titolo al loro libro) .
Il computer, in questo, ha un ruolo fondamentale, non come meccanismo di rappresentazione, ma come sistema generativo, attraverso l'elaborazione digitate delle informazioni. L'utilizzo di tale strumento ha consentito di convogliare i diversi livelli di conoscenza all'interno di una singola funzione, dando risposta organizzativa al delicato equilibrio della contingenza dei fenomeni attraverso alcuni controllati gesti.
Le tre proposte progettuali che sono qui presentate -la Facoltà di Architettura a Venezia (1998), il Ponte Parodi a Genova (2002), il Museo Mercedes-Benz a Stoccarda (2002)- mostrano, in maniera assai approfondita e coinvolgente, l'articolazione della ricerca di UN Studio, sul tema della complessa azione configurativa dell'oggetto architettonico, nonché del suo articolato rapporto con il contesto.
Nel progetto per la Facoltà di Architettura di Venezia, il punto di partenza del percorso ideativo è rappresentato dal confronto con la città storica: l'area interessata è quella dell'ex porto commerciale. Un rapporto, che UN Studio non intende sviluppare in forma mimetica, ma incorporando nel processo diagrammatico, piuttosto, l'aspetto della trama urbana e l'effetto dell'affaccio sul canale della Giudecca; e, con esso, il gioco delle rifrazioni della luce, la visione scorciata caratteristica dei palazzi lungo le calli e la specificità del loro impianto spaziale (in cui il salone centrale è il luogo degli incroci di tutti i percorsi dell'interno).
L'organizzazione spaziale del progetto riflette una complessità, una varietà di situazioni e una notevole gamma di valenze di riferimento, a partire dalla configurazione del foyer che, posto al primo piano, non è solo la rielaborazione dei caratteri del salone passante veneziano (compresa la reinterpretazione della grande parete vetrata che si affaccia sul canale), ma anche la sua estensione a percorsi esterni di tipo urbano. L'edificio si pone, infatti, come un organismo aperto alla città, attraverso una fluida successione di situazioni spaziali che, partendo dall'aperto delle calli e delle banchine che costeggiano i canali procedono, senza soluzione di continuità, nel chiuso della struttura architettonica: un ideale filo che si dipana a partire dagli spazi urbani circostanti e, proseguendo attraverso la serrata successione di ambienti funzionali (tra cui un auditorium con 500 posti e 12 aule), si aggroviglia nel suo procedere, ammatassandosi nella parte centrale, il cuore dell'edificio, per poi uscire all'aperto sul piano fruibile della copertura.
Il volume, sollevato da terra, è appoggiato su due corpi dal disegno irregolare, dove l'uno ospita la caffetteria e l'altro una libreria e una sala espositiva. Tra le due "impronte" (secondo la definizione degli autori) un ampio spazio urbano che attraversa il corpo.
Il rivestimento dell'involucro è concepito come un sistema a più strati sovrapposti che, per la caratteristica dei materiali ed il disegno dei grigliati, all'esterno risulta riflettente, fonte di caledoscopiche sensazioni visive e all'interno parzialmente trasparente e aperto verso la città lagunare.
Nel progetto del Ponte Parodi a Genova, il tema d'avvio è l'idea di una "piazza sul Mediterraneo" (come la definiscono Van Berkel e Bos). Essa accoglie in sé molteplici funzioni -dai centri sportivi, agli spazi per mostre, dagli attracchi per barche da crociera, ai cinema, ai negozi, ai cyber cafes, dagli uffici e ai ristoranti, all'auditorium- che impegnano la "piazza" in un'attività continua, da svilupparsi nell'arco dell'intera giornata.
Si tratta di un pontile-piazza, ideato per riqualificare e rivitalizzare l'area del porto; e questo attraverso la creazione di una struttura complessa che si ponga come punto di snodo tra la città storica e il porto. Un luogo d'attrazione, d'attività, di esperienze e d'incontro.
Un progetto direttamente rivolto agli utenti. «Abbiamo bisogno di progettare attorno alla gente e attorno ai loro movimenti per creare un luogo dinamico» .
Un luogo che deve intendersi come il punto di scambio di flussi: basato sulla continuità, sulla concatenazione degli spazi e delle percorrenze e sul gioco di scambio impostato sull'equivalenza tra interno ed esterno. Come nel progetto per la Möbius House a Het Gooi (1993-98) dove, in forma più esplicita, si sviluppa un continuo, illusionistico gioco di scambio tra il dritto e il rovescio della superficie che involucra e definisce il volume e che va a riflettersi nella conformazione stessa degli spazi.
La "piazza" si sviluppa su più livelli, sorretti da una "struttura a diamanti" che li attraversa verticalmente, andando a caratterizzare l'organizzazione funzionale e l'immagine spaziale.
Il piano di copertura, dal profilo ondulato, aperto e nella parte centrale piegato verso il basso, si modella come un anfiteatro, avvolgente, accogliente, rivolto alla vista della città e delle Alpi che si profilano in lontananza.
Infine, nel progetto del Museo Mercedes-Benz a Stoccarda, lo spunto progettuale è dato, ancora una volta, dall'interpretazione del contesto: dal carattere disomogeneo della zona industriale in cui si trova l'area dell'intervento e dalla sua posizione lungo l'autostrada B14. La scelta sarà quella di distaccarsi dalla realtà circostante, creando un elemento dominante (l'edificio è alto m.47), una 'immagine-simbolo' identificabile anche a distanza, oltre che un punto di riferimento per i futuri sviluppi della zona.
L'impianto spaziale dell'organismo consiste in una doppia spirale che si sviluppa dinamicamente in verticale, sulla base di uno schema planimetrico a tre lobi ruotanti attorno ad un vuoto triangolare. I piani sono sei e si succedono alternativamente, nello sviluppo verticale, occupando ora uno, ora due livelli. Le superfici espositive che costituiscono ciascun piano, sono sfalsate e collegate tra loro tramite brevi rampe. Questo crea una spazialità estremamente dinamica e una visione d'insieme dilatata in ogni direzione. E' un «museo per la gente che può muoversi al suo interno, sognare, imparare, guardare e lasciarsi attrarre dalla seduzione, della luce, dello spazio...» .
Il vasto ambiente espositivo, di mq. 20.000, è interamente dedicato alla storia della Mercedes-Benz, a partire dai primi modelli realizzati, fino a quelli più recenti e alle proposte sperimentali (the Myths). All'interno dell'organismo si trovano anche un museum-shop, un ristorante, uno sky lobby, un museo per bambini, un cinema.
La differenza tra spazio aperto e spazio chiuso non è immediatamente percepibile dall'esterno in quanto l'oggetto non manifesta la sua complessità in maniera immediata, l'involucro esterno è come quello di un grande oggetto scultoreo, ma la sua superficie muta con il modificarsi delle condizioni esterne: recupera da esse una gamma variabile di riflessi che ne trasformano il colore con il cambiare del giorno, del clima, della stagione; oscillando dall'opaco al trasparente e registrando i riflessi dall'esterno. Tale effetto è rafforzato da un innovativo sistema di facciata in vetro strutturale rinforzato da fibre di carbonio per potenziarne gli effetti; e questo, anche per mettere in evidenza il vivace spirito imprenditoriale della casa automobilistica e la sua capacità tecnologica.

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