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Cino Zucchi. L’architettura tra landmark ed enclave
Rivista Controspazio N° 113
di gennaio febbraio, 2005
Autore: Michele Costanzo
Articoli Il 'margine' urbano, quella sottile linea di confine, ideale e reale che storicamente ha rappresentato il punto di trapasso tra la città e il territorio, la 'soglia' oltre la quale la natura poteva ritrovare il suo libero sviluppo, si è da tempo drammaticamente dissolto. Al suo posto è andato sempre più prendendo consistenza un incontrollato e incontenibile processo di 'diffusione' urbana senza forma apparente, dall'andamento progressivo e ramificato. Si potrebbe avvicinare tale inquietante scenario a quello provocato da un'esplosione: per l'azione disgregativa, prodotta nella forma del paesaggio storico, che ha rotto l'interno equilibrio di una delicata, fragile costruzione, frutto di una 'sensibilità collettiva' che, in passato, aveva guidato il succedersi di lente, progressive trasformazioni; e, paradossalmente, per il fatto che la nuova configurazione territoriale, sembra essere stata scoperta all'improvviso e con sorpresa, al di fuori di una consapevole presa d'atto del suo insinuante, graduale avanzare, diffondersi e consolidarsi. Come testimonia l'incipit del libro di Richard Ingersoll, Sprawltown, in cui l'autore afferma: «Senza accorgersene la città è scomparsa» . Per poi proseguire disegnando un'allarmante immagine della tendenza dello sviluppo insediativo a scala globale: «Continuiamo a vivere in ambienti urbani con nomi storici come Roma, Parigi, New York, Pechino, ma oggi la maggior parte del mondo sviluppato abita in periferia. L'eccesso di urbanizzazione negli ultimi 50 anni ha portato la città oltre la metropoli, alla megalopoli: un territorio urbanizzato. Eugenio Turri (2000) sostiene che l'Italia del nord, comprese Torino, Genova, Milano, Bologna, Venezia, si comporta come un'unica entità urbana» .

La spinta messa in atto dallo sviluppo della società post-industriale si presenta come un processo metamorfico che aggredisce il territorio allargando, con implacabile cadenza, il disegno dei propri confini. E nel suo ineluttabile avanzare erode i punti di sostegno che, in precedenza, avevano sorretto il delicato equilibrio dell'immagine territoriale, peraltro fortemente radicata, ancora, nella coscienza collettiva. Rispetto a tale quadro di una realtà dalla non definita connotazione, in cui l'identità dell'oggetto architettonico risulta essere fortemente indebolita per l'erosione venuta a prodursi di ogni suo possibile legame, ideale e reale con l'altro da sé, fino a renderlo presenza assente nel contesto che occupa, Cino Zucchi punta a contrapporre nei suoi progetti, in maniera sistematica e modalità espressive estremamente suadenti, un'ipotesi di strada percorribile per un suo possibile 'riappaesamento'. E questo, attraverso il tema di "nuova dimensione paesistica" che sviluppa in ogni progetto (a prescindere dall'entità dell'intervento), il cui obiettivo è quello di mantenere in vita alcuni imprescindibili legami tra strutture architettoniche e spazio. Si tratta, in definitiva, di dare senso al generico vuoto fisico, alla 'pausa' tra distinte presenze volumetriche, di recuperare un 'luogo residuale' allo svolgersi della quotidianità della vita. E' un programma progettuale dal sofisticato apparato operativo mirato a salvaguardare quelle valenze (formali, dimensionali, relazionali) legate alla specificità 'ambientale' di uno spazio pensato per la collettività. Tutto questo conferisce al processo ideativo, e alle equilibrate scelte operative dell'architetto, un carattere, a un tempo, concreto e concettuale. «Pur avendo concepito l'architettura come attività colta», afferma nel corso di un'intervista, «conservo un atteggiamento diretto verso le cose, verso i problemi nella loro nudità» .
Zucchi affronta le complessità e l'eterogeneità delle questioni progettuali adottando un atteggiamento propositivo e riflessivo che, in buona parte, trova alimento nel suo rapporto con la tradizione del "moderno" attraverso un modo di procedere dal piglio disincantato e problematico; soprattutto nei confronti dei criteri generali d'impostazione di tipo analitico-valutativo, che sovrintendono allo svolgersi degli eventi e che costituiscono l'essenza della storiografia architettonica. Una posizione distaccata e autoriflessiva, dunque, che inizia a definirsi nel corso della sua fase formativa, attraverso una personale rilettura di figure, opere, tendenze; trovando, in seguito, sviluppo nel recupero di alcuni significativi 'lasciti' dei, così detti, 'padri': una serie di riferimenti culturali che appaiono come dei segni apposti sui dei tronchi d'albero per non perdere la direzione del sentiero. Anche se, per Zucchi, come si è accennato, si tratta di un tracciato del tutto personale, volutamente "non legato ad una genealogia", ma piuttosto alla propria esperienza e sensibilità di progettista. In quanto, com'egli afferma, «[...] nessun "manifesto" sembra oggi possibile, nessuno slogan sufficientemente serio per poter diventare il nostro emblema. Sono forse più interessanti alcune forme di comunicazione trasversale, per lo più elettronica, dei più giovani, che vivono ormai in una dimensione globale al contempo straniante e felice» .
Un sofferto distacco da paternità e appartenenze che presenta il vantaggio «[...] di evitare i problemi edipici in cui si trovano molti miei coetanei», osserva Zucchi, «Gli allievi di Rogers, in una feconda "diaspora", hanno contribuito in maniera fondamentale alla cultura architettonica italiana (ed europea), e tuttavia il loro spiccato narcisismo ha in molti casi bloccato del tutto la crescita dei propri allievi, peraltro sudditi consenzienti» .
Il suo individuale, soggettivo percorso, dunque, parte dal Team Ten, principalmente Herman Hertzberger e Giancarlo De Carlo «[...] filtrati dal clima americano» (quello dell'MIT a Cambridge presso cui svolge i suoi studi d'architettura), e passa per Gunnar Asplund, di cui apprezza l'equilibrio che riesce a istituire «[...] tra comfort, comprensione del fatto urbano e lavoro sugli elementi astratti dell'architettura» , Louis Kahn, che ha riscoperto «[...] una cosa molto importante: che lo spazio "pesa", e che la costruzione "occupa" lo spazio» , e per alcune figure cardine della cultura milanese, tra le quali, Piero Bottoni, Giò Ponti, Vico Magistretti, Ignazio Gardella, Ernesto Nathan Rogers, Luigi Caccia Dominioni (autore dell'edificio in cui, non a caso, ha sede il proprio studio) e, ancora, per la coppia Mario Asnago e Claudio Vender, sulla cui opera scriverà una monografia.
La condizione di "nomade" assunta dall'architetto milanese nei rispetti del non lontano passato dell'architettura mette, altresì, in evidenza la sua scelta di perseguire una duplice azione di avvicinamento e allontanamento dalla storia, che si manifesta nella volontà di 'recupero' e parziale 'riutilizzo' del patrimonio di idee ed esperienze sedimentate nel corso del tempo, e in quella di 'distacco' dal vincolo ad un inquadramento critico portato avanti dalla storiografia ufficiale. «Gli elementi messianici del "moderno" sono stati storicamente necessari, ma oggi li sentiamo come un eccesso di calvinismo. Si credeva troppo nelle soluzioni "universali", nell'uomo-tipo. Io ho una visione più pluralista, più tollerante, forse più "pasticciata" dell'architettura. Ci troviamo forse oggi in una condizione di manierismo del "moderno". Come Baldassarre Peruzzi lavora sull'esempio di Raffaello, e per certi versi lo supera, così anche noi siamo dei moderni di seconda o terza generazione: siamo coscienti delle regole del gioco e le possiamo usare più liberamente, anche se crediamo un po' meno al loro carattere universale» .
L'assunzione di tale specifico atteggiamento mentale, che rifugge da una acritica accettazione di giudizi di valore convenzionali, è lo strumento che consente all'architetto di far fronte alla complessità del reale, e alla conflittualità dinamica e disomogenea delle forze che la percorrono.
La nuova identità della metropoli risiede nel suo essere un sistema insediativo ibrido al cui interno convivono memorie, culture, etnie, ghetti, enclave. La sua caratteristica sta nel fatto che il disegno del suo profilo non è più condizionato dai dati provenienti dalla produttività, o dal commercio, ma piuttosto dal tessuto mutuale proveniente dalla rete informativa/comunicativa.
L'architettura che contraddistingue la megalopoli contemporanea, dunque, non è altro che il prodotto del flusso relazionale che l'attraversa, nonché del pulviscolare assetto dei servizi che dà sviluppo a un'economia diffusa in maniera puntiforme su tutto il territorio urbano. «Oggi il pulviscolo della città dispersa sta uniformando un paesaggio costruito nei secoli sulle differenze, sulla seclusione, ma anche sulla migrazione delle culture» .
L'idea di "porosità", che sviluppa Pierluigi Nicolin, è l'espressione più prossima a delineare il nuovo paesaggio urbano, quella a cui necessariamente deve fare riferimento ogni soggetto architettonico. L'impossibilità ad accedere ad una più puntuale specificazione corrisponde all'aspetto sfuggente della sua logica aggregativa il cui obiettivo è quello di «[...] superare la tradizionale strutturazione di "tessuto" come semplice ripetitività modulare» .
In tale contesto, la modalità d'intervento che Zucchi ritiene più idonea per concepire nuovi insediamenti è quella che comporta (come tematica ideale) la 'chiusura', la definizione di 'margini' territoriali che stabiliscano ambiti contenuti e protetti: un'immagine non lontana da quella smithsoniana del cluster. In quanto le «figure dell'edilizia non sono più in grado di controllare il paesaggio, né di rendere confortevoli gli interni», egli osserva, «Perdiamo sempre più il controllo della scala intermedia, sull'urban design» .
Come contrapposizione alla tendenza disgregativa del disegno urbano, l'obiettivo di Zucchi è, allora, quello di sondare attraverso il progetto la capacità di mettere in atto una forma di difesa della dimensione residuale della cultura collettiva, istituendo una sorta di mediazione con le nuove possibilità di sviluppo urbano offerte da un diverso rapporto tra residenza, strutture produttive e servizi: che costituisce un punto critico d'equilibrio tra memoria e realtà.
«Abbiamo bisogno di strumenti diversi di disegno del territorio, che non mimino quelli della città antica, e che accettino le infrastrutture della mobilità pubblica e privata come gli elementi portanti della nuova città estesa» .
Organizzare interventi per comparti, consente di mantenere l'attenzione circoscritta ad un insieme di valori non generalizzabili, provenienti da rapporti localistici portatori di una loro specifica identità. In questo modo, la spinta partecipativa al generale processo di trasformazione del reale, e l'attenzione (in senso critico-propositivo) ai valori della tradizione del "moderno", trovano un loro naturale equilibrio.
Questa duplice essenza del progetto, che costituisce la base su cui in vario modo prende forma la ricerca di Zucchi, è messa in chiara evidenza dalla serie di progetti elaborati negli ultimi anni. Nel percorso di definizione dei quali, bisogna sottolineare, un particolare ruolo è riservato al contesto: un fondamentale soggetto di confronto e di stimolo nella formazione dell'idea progettuale; soprattutto quando appartiene (come nella prevalenza dei casi) ad un tessuto d'origine storica o, ad un'area urbana ex industriale in via di riqualificazione. Da tali condizioni d'avvio, l'architetto assume, di volta in volta, lo stimolo per procedere, intervenendo nelle differenti situazioni urbane con rigore unito ad un forte spirito creativo, realizzando con il riassetto spaziale della realtà preesistente una nuova identità più complessa frutto di una attenta mediazione con l'urgenza del presente. «L'"originario" non esiste, ed è in fondo un'invenzione del pensiero nazista, ossessionato dalla purezza, dall'Ur-prinzip. Ogni cultura ha ripetutamente scambiato informazioni con le altre, ogni paesaggio ha sentito la presenza dell'uomo.
Così, ogni progetto si innesta su un luogo; e un innesto presuppone una ferita nell'organismo ospite, ma anche una profonda conoscenza della sua fisiologia» .

Quello che maggiormente sollecita l'interesse progettuale di Zucchi non riguarda, come egli afferma, la problematica della struttura abitativa in sé, dove il prevalere della dimensione del privato introduce nel progetto elementi esterni all'architettura (anche se molte opere da lui realizzate hanno tale specifica destinazione), ma, piuttosto, di quella 'indeterminata' entità dello spazio urbano appartenente all'intorno degli edifici. E proprio ad essa, con le sue proposte progettuali egli cerca di conferire un'autonomia di ruolo ed una più definita e ricca determinazione spaziale. «Personalmente sono interessato agli spazi "tra le cose". L'architettura deve organizzare i ritmi della sequenza stanza -spazio comune-esterno-città-paesaggio, trovando di volta in volta strumenti adeguati, non necessariamente omogenei tra loro» . La caratteristica di questa operazione, che focalizza il suo principale campo applicativo in ambiti 'interstiziali', è quella di produrre «[...] un'alterazione significativa dei rapporti fra parti conosciute» .
La qualità 'interstiziale' dello spazio urbano (del 'vuoto' che intercorre tra due o più edifici), o la sua condizione di in-between è, dunque, un tema che particolarmente stimola l'interesse e la capacità ideativa dell'architetto milanese. Un soggetto di ricerca, peraltro, ampiamente sviluppato in vario modo e a varie scale da Peter Eisenman e Bernard Tschumi in numerosi progetti. Ma, mentre nel loro caso esso assume il ruolo di luogo della 'congestione', come rappresentazione della caleidoscopicità delle relazioni umane, e della possibilità di declinazione al suo interno di forme di scambio interpersonale; l'in-between, nella visione di Zucchi, all'opposto è un luogo in cui è possibile ritrovarsi piuttosto che perdersi: uno spazio d'identità, dunque, ed eventualmente, là dove è possibile, di recupero di valori nuovi sulla scorta dell'esperienza del passato. In questo senso, si potrebbe anche considerare vicina l'idea di spazio urbano come 'scena teatrale', com'è delineata da Aldo Rossi nella famosa autobiografia: «il fondale possibile, il luogo, la costruzione misurabile e convertibile in misure e materiali concreti di un sentimento spesso inafferrabile» .
Le profonde trasformazioni avvenute nell'assetto urbano, osserva Zucchi, hanno prodotto un effetto di allontanamento dall'essenza dei valori dell'urbanistica "moderna" e, in particolare, dai «[...] suoi ideali igienisti o egualitari: il distacco degli edifici è diventato una condizione puramente pragmatica, la ripetitività di una necessità economica e costruttiva, la separazione tra macchine e pedoni un fatto acquisito» . Non a caso, in rapporto ai recenti progetti di urban design, egli usa l'espressione "progetto del suolo e degli edifici": proprio per accentuare la distinzione tra due diverse entità e sottolineare, nel contempo, il valore 'unitario' del parterre su cui trova luogo l'intervento architettonico (spesso attraverso 'figure' dislocate liberamente, come è il caso delle torri di Nuovo Portello o di Central Pasila).
Così, l'annullamento della nozione di spazio di relazione prodotto dalla nuova "estetica della densità", e il vuoto determinato da tale deprivazione, viene ad assumere per l'architetto la ragione di base per riflettere su tale specifica condizione, operando un'inversione di rotta che porta al recupero di «[...] un perduto stato d'innocenza, di armonia con le leggi naturali, di un rapporto primario con la fisicità e la matericità del fatto architettonico. Questa aspirazione [...] si accompagna bene alla tradizionale "iconofobia" della cultura svizzero-tedesca. Diceva Hannes Meyer negli anni Trenta "quando progetto un'opera di architettura, i fiori e i sassi del sito mi dicono più che le persone che vi abitano". Arrivo a pensare che, nonostante l'aspirazione alla leggerezza di questo inizio secolo, la fissità "geografica" e la pesantezza della materia siano dei veri "nuclei ontologici" che costituiscono l'architettura come arte specifica» .
Questa considerazione mette in luce un passaggio essenziale del pensiero di Zucchi, che consiste nella posizione speculare in cui pone due temi apparentemente lontani tra loro: da un lato, il vuoto urbano e, dall'altro, la pesantezza materica dei volumi architettonici che lo configurano. Due entità opposte, ma in realtà reciprocamente necessarie per acquisire rispettivamente senso. «Il concetto concreto di peso e di resistenza precede nell'architettura la stessa nozione di tecnica. La fisicità della materia entra nel pensiero architettonico non come un fenomeno sottoposto all'osservazione, ma come una struttura profonda del pensiero stesso. La tettonica di un edificio è composta attraverso un'analogia corporea. La condizione comune di esistenza corporea è la base della possibilità da parte dell'uomo di tradurre la materia in architettura. La tettonica fonda quindi un pensiero architettonico in grado di azzerare sia la teoria estetica classica della mimesi che quella idealista dell'espressione. La gravità è ciò che permette l'architettura come fatto unitario, in aperto contrasto all'idea storicista di composizione» .
Tale scelta, che porta a sottolineare il "peso dello spazio architettonico" riportando la questione architettonica ai suoi fondamentali valori dell'abitare, del lavorare del vivere associato, escludendo interferenze e possibili intrecci con il mondo della comunicazione, è il filo conduttore che lega tra loro la serie di progetti che segue.

Edificio residenziale nel quartiere Montedago Q3, Ancona (1995-2000)

Cino Zucchi, Studio architettura Salmoni, con Pietro Bagnoli, Federico Tranfa, Gaudia Lucchini, Anna Chiara Morandi, Pietro Nicolini

Il lungo corpo della costruzione, scandito in tre parti per meglio adattarsi alla pendenza del lotto, si dispone sul terreno formando una concatenazione di volumi ad andamento discendente. Tale sviluppo scalare rompe l'effetto della densa massa edilizia, peraltro sottolineato dal rivestimento in mattoni, acquistando una debole valenza dinamica. L'effetto di duplicità di significati e di contrasto tra pesantezza dei volumi e soffusa dinamicità dell'insieme si ritrova anche nella fronte nord-ovest, contrassegnata da severe masse dalle superfici totalmente prive di aggetti, dove il ritmo delle finestre delle camere da letto che vi si affacciano, dalla sagoma fortemente verticalizzata, trasmette all'insieme un contenuto effetto di animazione.
Il lato a sud-est, quasi a rovesciare il senso dell'impianto formale precedentemente descritto, è interamente occupato da balconi collegati tra loro tramite una struttura metallica a griglia che conferisce unità all'insieme ed con essa la configurazione di una seconda facciata, distanziata dalla prima in mattoni dallo spessore dei balconi, a formare una sorta di spazio 'interstiziale'.
Questa singolare soluzione anticipa l'idea di membrana esterna, che tende ad affermare l'indipendenza dello spazio interstiziale dell'involucro rispetto alla struttura spaziale interna.
Una serie di cavedi disposti centralmente lungo la sua direttrice longitudinale del corpo, consentono agli ambienti di servizio di godere dell'illuminazione ed aerazione naturale.

Casa unifamiliare ad Abbiategrasso (1996-1997)
Cino Zucchi, Andrea Viganò, Anna Chiara Morandi

La casa è situata in una zona suburbana. La posizione, che la pone in contatto con uno spazio libero del territorio, rappresenta un'occasione per esplorare "i gradi di libertà del tema della casa", e riflettere "sul rapporto tra domesticità e spazio aperto".
Il lotto è stretto e profondo. Per recuperare la massima ampiezza della superficie del terreno la costruzione è sistemata in una posiziona laterale, non dominante rispetto a quello che, per la casa unifamiliare, indica la tradizione.
L'obiettivo del progettista è stato quello di trovare una mediazione tra il carattere formale della struttura che, tendenzialmente, punta all'astrazione e la realtà agricola in cui è immerso; recuperando materiali tradizionali senza cadere in ammiccamenti di tipo vernacolare. L'unico elemento allusivo alla consuetudine locale è la tettoia inclinata che è proposta come immagine emblematica e, quindi, distaccata dal contesto. "Sottili colonne metalliche sostengono un grande portico 'rurale' ricoperto in rame che sfiora senza toccarlo il corpo edilizio in mattoni a vista, determinando un luogo conviviale immerso nel verde". In analogia, come Zucchi ricorda, con il pronao della Resurrection Chapel di Sigurd Lewerentz a Stoccolma, in cui «[...] la tettoia si stacca di pochi centimetri dal corpo di fabbrica, asserendo la sua indipendenza statica e spaziale dall'edificio» .
La presenza del mattone, inoltre, è qui impiegato in modo da non «[...] cadere nel repertorio un po' abusato dei giochi di tessiture che spesso ne caratterizzano l'impiego» , presenta il duplice ruolo di rimarcare il senso della 'matericità' dell'oggetto architettonico e di recuperare un ideale collegamento «[...] ad un passato più antico rispetto al 'rustico di fantasia' delle villette del dopoguerra» .

Ristrutturazione del quartiere fieristico ad Abbiategrasso (1997-2000)
Cino Zucchi (capogruppo), Bianchi Bucci Viganò Associati, con Luca Bellingeri, Raquel Lopez, Cinzia Battaglia

L'intento del progetto è quello di fare entrare in contatto l'area della Fiera con la città. Questo,
avviene, per prima cosa, con l'apertura della cinta muraria, entro cui in precedenza era rimasta contenuta, e la sua sostituzione con una recinzione in rete metallica. E poi, riprogettando la viabilità interna e alcuni spazi di margine, e aggiungendo dei nuovi elementi architettonici in diretto rapporto con alcune strutture industriali esistenti.
L'intervento più rilevante è, dunque, la realizzazione di un grande muro, che ha il compito di legare tra loro diverse volumetrie (in parte, dissimili tra loro). Si tratta di uno schermo traforato il cui disegno è ottenuto da una tessitura di mattoni pieni a fasce alternate. La sua posizione è leggermente distaccata dai capannoni che intende nascondere per creare uno spazio 'interstiziale' dove sistemare la distribuzione e i servizi.
La parete ha, inoltre, due altezze e presenta in più punti delle aperture, delle grandi finestre di diversa dimensione che alleggeriscono l'impatto visivo della massa muraria. In corrispondenza del suo tratto più elevato e sistemata una lunga pensilina in forte aggetto, in corrispondenza dell'ingresso principale del complesso fieristico.
All'interno delle strutture preesistenti sono stati sistemati: una grande hall per manifestazioni ed eventi, un bar/ristorante, una piccola sala conferenze, ed uno spazio per mostre ed eventi culturali su un piano soppalcato ricavato nel capannone più grande con accesso indipendente.
«Il rinnovo degli edifici del Distretto fieristico», osserva Kim II Hyun, «è un chiaro esempio dove questa operazione è pienamente compiuta. Diversamente dalla disposizione seriale [...] realizzata con la sovrapposizione dei balconi ad Ancona, l'invenzione realizzata per questo edificio, chiaramente mostra la distinzione di materiali e geometria, senza creare una reciproca interferenza tra vecchio e nuovo. Il muro, come numerosi progetti di Hejduk mostrano, è soprattutto un elemento unificatore in termini visivi piuttosto che statici» .

Edificio industriale COROB a San Felice, Modena (1998)
Cino Zucchi, Anna Chiara Morandi, Franco Tagliabue, con Bianchi Bucci Viganò Associati, Lybra.

Il progetto riguarda, contemporaneamente, l'intervento di ristrutturazione di un complesso
industriale e la realizzazione di un nuovo edificio adiacente a quello esistente, destinato a laboratorio con annesso magazzino realizzato in struttura prefabbricata in cemento. Lungo la fronte, che si affaccia sul piazzale per il carico e scarico merci, il progetto assume una sua forte caratterizzazione per la presenza di una singolare pensilina-schermo in alluminio ondulato che, per buona parte, aderisce alla parete verticale del capannone e, poi, in alto se ne distacca curvandosi in avanti e superando la sua stessa altezza. E' un caso assai interessante in cui un piano riesce ad avere una prevalenza percettiva su un volume.
Gli altri lati della costruzione sono 'decorati' con scritte di varia grandezza colore e diversa posizione (con questo, proponendo un ideale collegamento con il decorated shed venturiano), per indicare i differenti generi di attività che si svolgono al suo interno.
Particolarmente significativo è, inoltre, il padiglione del guardiano: un "monolite" dalla sagomatura cristallina in cemento e vetro, leggermente distaccato dal complesso industriale che si pone, per il suo prepotente sviluppo verticale, come punto di riferimento visivo e dispositivo pubblicitario per chi percorre l'autostrada che si sviluppa a poca distanza.

Uffici COROB a Montevideo, Uruguay (2000)
Cino Zucchi, Franco Tagliabue, con Mariavera Chiari, Piero Bagnoli

L'occasione progettuale nasce dall'esigenza di un'azienda di Montevideo di realizzare un corpo aggiuntivo, per la propria struttura industriale, destinato ad uffici. Quello che veniva richiesto era la progettazione di un corpo di mq. 200, ma l'occasione ha dato l'avvio ad un più generale ripensamento dell'immagine dell'azienda, soprattutto in considerazione del fatto che essa è visibile dalla strada.
Per ottenere un'immagine incisiva e plasticamente unitaria l'architetto ha puntato sull'impiego di una grande parete metallica che curvandosi avvolge i volumi preesistenti e la nuova costruzione, creando con il suo disegno dei piccoli patii interni su cui si affacciano gli uffici. Il 'muro' è realizzato in carpenteria metallica e rivestito in lastre di lamiera grecata di alluminio. Operazione che è stata eseguita in due fasi: la realizzazione in Italia dei diversi componenti del manufatto e l'assemblaggio realizzato in loco.
La parete presenta dei tagli lungo la sua superficie. Il più ampio riguarda il punto d'accesso che mette in vista il patio interno dove è posto in bella evidenza il corpo scala: un volume metallico dalla vaga foggia piramidale che protegge e mette in risalto la porta d'ingresso. Il patio d'ingresso si arricchisce, inoltre, della presenza di un parterre parzialmente pavimentato e, per il resto, decorato con ciottoli di fiume dal prevalente colore rossastro e piante locali.
Altre aperture laterali sono dei grandi finestroni disposti su due altezze e schermati internamente da lamelle in alluminio. L'insieme così configurato, punta a generare "una percezione 'astratta' e ascalare del complesso" per creare un netto contrasto "con in il disordine visivo dell'intorno".

Riqualificazione degli spazi pubblici di via Basso al quartiere Gratosoglio, Milano (2000)

Cino Zucchi (Capogruppo), Alessandro Acerbi, Ida Origgi, Franco Tagliabue, con Pietro Bagnoli, Mariavera Chiari, Hendrik Johannsen, Matteo Moretti; Pilar Martí Rodrigo, Pietro Bagnoli, consulenti Paola Capuani studio grafico B2G, Ariatta ingegneria dei sistemi.

Il progetto di riqualificazione di uno spazio urbano della periferia milanese si sviluppa attraverso il recupero ad una logica unitaria di una serie di "frammenti sparsi della prima periferia storica". Tale intento trova espressione formale nel disegno di uno spazio urbano composto da due tipi di intervento: un parterre che ne delimita l'area, e delle pareti basse che ne segnano il perimetro, rivestiti da cubetti e lastre di porfido.
La piazza, contrassegnata da una lunga panca dalla sagoma sinuosa, occupa il tracciato di un'antica strada romana che portava a Pavia; il muro che la delimita collega "i corpi superstiti di una cascina, un mercato comunale e la fermata del tram".
Verso l'esterno il muro è lasciato in cemento a vista e raccoglie sulla sua superficie scritte di diversa dimensione con il duplice intento di indicare: da un lato, l'effetto di disgregazione del paesaggio metropolitano e, dall'altro, la possibilità di recuperare un nuovo ordine attraverso la realizzazione di ambiti urbani attentamente studiati, dotati di un loro determinato carattere in sintonia con la storia del territorio.

Next Biennale (2002)
Cino Zucchi, con Matteo Agnoletto, Helena Sterpin

Un padiglione temporaneo dal titolo "The Boho light trap" per la 8° Biennale di Venezia "Next".
L'opera fa parte di una installazione collettiva, curata da Aid'A (Carlo Terpolilli), avente come tema gli spazi primari ("Lonely living: The architecture of primary space"): una riflessione sulle difficoltà esistenziali e sociali associate ai bisogni del vivere contemporaneo. L'intervento consiste nel posizionamento di 20 oggetti differenti su una piattaforma d'acciaio di 36x42 metri, realizzati da altrettanti progettisti o gruppi di progettazione. Si tratta di una serie di strutture a scala 1:1 costruite in pannelli di truciolare riciclato.
Il contributo di Zucchi è un grande cubo di m. 4,00 per lato, immaginato per un etologo impegnato in battaglie in difesa dell'ambiente. Un oggetto, la cui figura è volutamente astratta per sottolineare la componente concettuale della proposta. La superficie dell'involucro esterno presenta alcune aperture circolari e una serie di piccoli fori disposti secondo il rigido ordine di una griglia geometrica.
All'interno, invece, si trova un'ingombrante "tenda" in tessuto strech che occupa buona parte dello spazio. Il sinuoso disegno delle sue morbide pieghe da ricetto ad un insieme di funzioni primarie, e ad alcuni allusivi elementi d'arredo.
La luce che filtra all'interno del volume attraverso le aperture praticate nelle pareti del cubo proietta il suo ordinato disegno sulla superficie ondulata del tessuto producendo una deformazione della sua logica formale, creando "una serie di effetti optical".

Intervento residenziale alla Giudecca, Venezia (1995-2003)

Cino Zucchi (capogruppo), Paolo Citterio, Alessandro Dalloli, Stefano Guidarini, Pietro Nicolini, Marco di Nunzio, Federico Tranfa, con Marco Beretta, Sarah Bolzoni, Andrea Marlia, Anna Morandi, Delphine Plajoux, Stefano Vaghi.

L'incarico d'intervento di ridefinizione urbana e architettonica dell'area ex Jungans alla Giudecca è frutto di una consultazione ad inviti tenutasi nel 1995. Si tratta di un progetto affrontato da Zucchi con grande impegno per lo stimolante confronto che offre all'architettura moderna in rapporto al generale tema delle preesistenze storiche e, in termini più specifici, a quello della 'chiusura' della maglia urbana veneziana con i suoi tortuosi e stretti percorsi e le grandi dimensioni delle sue "enclaves", e alla fragile bellezza del suo paesaggio lagunare. L'obiettivo del progetto è, dunque, quello di aprire e riconfigurare il recinto dell'area ex Jungans «[...] secondo un principio di continuità in senso Nord-Sud con la forma urbis della Giudecca, definendo un nuovo rapporto con la Laguna ed eliminando il senso di estraneità morfologica e di 'impenetrabilità', che la destinazione industriale le ha conferito. Un'enclave separata restituita alla città, attraverso la continuità degli accessi e delle percorrenze, l'apertura delle vedute, l'accesso dal mare» .
L'incarico progettuale riguarda 5 nuovi blocchi residenziali (D, B, E1, G1-G2) e la ristrutturazione della costruzione industriale (A2-A3).

Edificio residenziale D (1997-2002)

Cino Zucchi, Alessandro Acerbi, Ida Origgi, Franco Tagliabue, Federico Tranfa con Natasha Heil, Gaudia Lucchini, Anna Morandi, Luca Zaniboni.

L'edificio si compone di 16 appartamenti e sostituisce una costruzione industriale esistente di cui conserva come testimonianza la ciminiera. Il volume si presenta come una massa cubica compatta, ma in realtà la sua fronte a sud è scavata e forma una corte a pianta trapezoidale dove è sistemato l'ingresso.
I materiali e le tecniche usate fanno un esplicito riferimento alla tradizione, ma le modalità del loro impiego indicano, contemporaneamente, la volontà di rimarcarne il distacco. L'immagine architettonica sottolinea questa sottile oscillazione tra appartenenza e alterità: attraverso il gioco delle aperture sfalsate, il diverso trattamento dei rivestimenti (intonaco grigio per i prospetti esterni, marmorino per la corte aperta) e delle cornici in pietra d'Istria che orlano le aperture trasfigurandole quasi in un motivo "grafico".
Il progetto, osserva Zucchi, mostra una via praticabile d'intervento, in cui «[...] la percezione della città esistente, la ricerca di strategie progettuali più complesse, la presa di distanza da una Sachlichkeit ormai stanca [...] sono capaci di instaurare un nuovo patto fiduciario tra architettura e società, fondando l'eticità dell'atto architettonico sulla comprensione, sul dialogo e non su un opportunistico eclettismo che cerca le vie di minima resistenza»

Edificio residenziale G1-G2 (1999-2002)
In precedenza l'area era contraddistinta da un edificio industriale, composto da due corpi gemelli, e da una ciminiera. L'insieme era circondato, verso il canale, da un alto muro. Tale elemento che viene conservato per delimitare un giardino privato interno verso cui si affacciano i due corpi del nuovo progetto, disposti a L, e distaccati tra loro da un passaggio diagonale che permette una vista sulla laguna. Verso la strada i volumi, dall'aspetto severo, sono rivestiti da una cortina di mattoni e scanditi, in corrispondenza dei due rispettivi corpi scala, da uno scavo la cui sagoma curva ricorda l'intervento siziano per Casa Duarte a Ovar (a sua volta un omaggio ad Adolf Loos). Sul lato sud del giardino, le fronti presentano delle logge a torre, realizzate in acciaio e legno che richiamano "le costruzioni in legno dei pescatori e le gru che caratterizzano questo lati dell'isola della Giudecca".

Edificio residenziale B (1998-2003)

Cino Zucchi, Alessandro Acerbi, Ida Origgi, Franco Tagliabue, Federico Tranfa, con Mariavera Chiari, Matteo Moretti, Caroline King, Chiara Aliverti.

Il nuovo edificio è la ricostruzione integrale di un volume esistente posto perpendicolarmente a Rio di Ponte Lungo. La demolizione che è stata fatta del recinto a nord apre alla struttura edilizia una più ampia visuale ed un nuovo accesso sul piccolo campo della Speranza circondato da un tessuto residenziale.
Il sottile corpo in mattoni riprende sulla testata verso l'acqua il profilo dell'edificio precedente. La fronte nord verso il campo è caratterizzata dalla presenza di grandi logge a doppia altezza e da bassi muri che delimitano giardini privati. La fronte sud, che si affaccia su una stretta calle è ritmata da piccole aperture regolari.

Ristrutturazione di edificio industriale A2-A3 (1998-2003)

Cino Zucchi, Pietro Nicolini, con Roberta Castiglioni, Cristina Margarini, Carlotta Garretti, Stefano Vaghi.

L'intervento di riutilizzo dell'edificio industriale ha comportato la modifica della sagoma originaria del volume: sono state eliminate delle superfetazioni, creato un passaggio attraverso la campata centrale per collegare la nuova piazza con il ponte si Rio della Pallada, realizzata, al terzo piano, una parziale soprelevazione per creare una facciata unitaria e, infine, sistemata una tettoia in rame (al posto di un ballatoio esistente) per proteggere e distinguere il basamento commerciale dalle abitazioni che stanno superiormente.
"Serramenti e scuri scorrevoli in legno e inserti in pietra bianca ridisegnano le aperture esistenti in rapporto alla funzione residenziale dei piani superiori".

Edificio residenziale E1 (1999-2003)

Cino Zucchi, Alessandro Acerbi, Ida Origgi, Franco Tagliabue, Federico Tranfa, Luca Zaniboni, con Giorgio Ceradelli, Mariavera Chiari, Silvia Cremaschi, Caroline King, Matteo Moretti, Pilar Marti Rodrigo.

L'edificio occupa il margine est della nuova piazza, e costeggia quello ovest del nuovo canale tagliato nell'area. La facciata verso la piazza si contraddistingue per il suo rivestimento in lastre di pietra di diverso colore e tessitura che si conclude in alto con una cornice fortemente aggettante; nella zona basamentate è inserito un portico.
La fronte verso il canale è ritmata da una serie di logge e finestre con scuri scorrevoli; la sua superficie è trattata in marmorino bianco, il basamento è di mattoni rossi "è bucato da portali che ne aumentano la permeabilità visiva".

Edifici residenziali e per uffici al Nuovo Portello, Milano (2002-2003)

Cino Zucchi, Pietro Bagnoli, con Cristina Balet Sala, Leonardo Berretti, Silvia Cremaschi, Elisa Leoni, Maria Rita Solimando Romano, Helena Sterpin e Filippo Carcano, Francesco Cazzola, Manuela Parolo.

Il progetto di Zucchi è inserito nel nuovo piano urbanistico per la ex zona industriale Alfa Romeo del Portello a Milano, redatto da Gino Valle. Il suo programma prevede una netta separazione tra le funzioni abitative e commerciali. L'area è divisa in settori, ed ognuno è affidato all'intervento di un differente architetto: a Valle un complesso commerciale, a Charles Jenks con Andreas Kipar e Land un parco urbano, a Guido Canali un insieme di blocchi abitativi, e a Zucchi un complesso di edifici residenziali e uffici.
Il disegno dell'impianto urbano di Valle si basa su una serie di triangolazioni di tracciati viari che si ricollegano con la rete di comunicazione dell'intorno. La principale di queste è un asse-boulevard che parte dal «[...] grande timpano della Fiera su viale Scarampo con piazzale Accursio e la direttrice di viale Certosa, attraversa diagonalmente il comparto 2b-2c in direzione nord-sud» . Nel suo percorso, esso lambisce l'area del parco e, proseguendo nella passerella che scavalca viale Serra (e, quindi, entrando nell'area di progetto di Zucchi), si conclude in una piccola piazza accanto a via Traiano.
L'intervento di Zucchi prevede la compresenza di più individualità tipologico-formali; e questo, rispondere ad un modello di varietà urbana che punta a ricollegarsi idealmente al "periodo eroico" milanese degli anni Cinquanta, contrassegnato dall'esperienza della ricostruzione. Un'importante fase della storia urbana della città che ha visto l'affermarsi di un'architettura civile borghese, tramite il contributo di figure che vanno da Gardella, a Magistretti, da Caccia Dominioni, ad Asnago e Vender.
Il disegno del nuovo insediamento si compone di 3 interventi distinti. Il primo riguarda 3 volumi in linea alti 8 piani, separati da due corti allungate, e posti in parallelo a viale Traiano. Lungo viale Serra le fronti dei compatti corpi di fabbrica presentano delle "sottili deformazioni geometriche".
Il secondo concerne il recupero parziale della volumetria su tre piani dell'edificio dell'ex mensa Alfa Romeo: in corrispondenza del nuovo percorso pubblico diagonale è stato necessario operare un 'taglio' della struttura preesistente. All'interno, nei due piani superiori, nella parte centrale è realizzato un patio attorno al quale sono sistemati i nuovi uffici. Il piano terra è stato attrezzato per ospitare attività collettive. Il nuovo prospetto, realizzato a seguito dell'intervento di demolizione, si presenta come una "pelle" cangiante "contraddistinta da serramenti in alluminio e vetro di diversa trasparenza e giacitura". Il terzo, infine, e un gruppo di 5 torri, con una differenziazione nella soluzione formale d'insieme: tra le due che fanno ala alla piccola piazza su viale Traiano, e le altre verso il parco. Nella loro posizione, esse tendono a massimalizzare in senso della trasparenza tra città e territorio circostante. In questo senso la presenza sullo sfondo del Monte Stella appare "come un landmark artificiale capace di restaurare quel rapporto visivo tra il nucleo urbano, la campagna e le Alpi perso nel tempo con l'espansione della città verso nord".

Nuova chiesa "Resurrezione di Gesù" a Sesto San Giovanni, Milano (2004)

Cino Zucchi, Helena Sterpin, Filippo Carcano, Cinzia Catena, Silvia Cremaschi, Cristina Balet Sala, con Anna Bacchetta, Annalisa Romani, Martina Valcamonica, Valentina Zanoni.

La nuova chiesa si inserisce in un quartiere della complessa periferia industriale milanese. Il difficile spazio ricavato tra le case, dove negli anni Settanta un gruppo di preti-operai aveva costruito una chiesa austera (poi demolita), ha indirizzato il percorso progettuale dell'architetto verso una soluzione formale, a un tempo, contenuta e accattivante. E questo, anche in risposta ad un interrogativo che egli si pone riguardo al corretto modo di definire l'immagine di una chiesa nella società contemporanea, a seguito dell'eccesso formalistico di molti recenti edifici di culto. Quesito che, peraltro, se si prescinde dalla specificità di ordine spirituale dell'edificio, si può allargare ad una problematica del tutto generale: l'isolamento dell'edificio nel contesto urbano. "Oggi abitiamo in una città nuova, diversa, fatta spesso di oggetti autonomi, indifferenti gli uni agli altri, non più legati da uno spazio comune. Talvolta il progetto dei nuovi edifici di culto ha reagito a questa condizione di solitudine aumentando gli effetti; in molte nuove chiese la volontà di distinguersi dalla banalità delle nostre periferie ha generato architetture pretenziose".
L'impianto si basa sulla figura del prisma; e, poi, quasi per un effetto del "levare" viene scavato in più punti. Per cui, nella fronte principale che si rivolge verso la strada, produce un arretramento della porta d'ingresso e con essa la realizzazione di un singolare portico, definito "a vento"; in copertura, un gioco assai contenuto di diversi livelli che pone in evidenza il volume dell'aula ecclesiale. Uno spazio unitario estremamente accogliente e suggestivo nella sua ricercata povertà, dove "due grandi vele affrescate da Hélène Delprat alludono alla centralità di una cupola 'ininterrotta' all'interno del semplice volume rettangolare".

Masterplan di Pasila, Helsinki (2004)

Cino Zucchi, Leonardo Cavalli, Michele Pugliese, Manuela Parolo, Norma Stivaletta, Cristina Balet Sala, Filippo Carcano, Davide De Gobbi, Cinzia Catena, Giuliana Ledda, con Giovanna Gomarabico, Maria Chiara Pastore, Fabrizio Cislaghi

La costruzione di un nuovo porto è la soluzione auspicata per poter dismettere il grande scalo ferroviario di Pasila che determina la divisione del quartiere.
Il nuovo masterplan si pone come obiettivo quello di mettere ordine nello sviluppo di quest'area densa di infrastrutture creando, altresì, un più diretto e fluido collegamento tra centro e periferia.
Il ponte, che metteva in collegamento la zona est del quartiere con la ovest, viene ora trasformato in una struttura urbana di diversa entità, aggregando accanto a sé una serie di nuovi volumi destinati ad attività commerciale che trovano un loro punto focale in una piazza ad impianto centrale, ma che trova un suo naturale sviluppo lungo lo spazio urbano che è coperto da una grande pensilina in vetro collegata direttamente al ponte.
A sud di questo importante, animato asse di molteplici incroci di attività e di interessi si sviluppa un cluster composto da torri in vetro che crea una serie di spazi pubblici che, in base all'orografia del terreno, digradano verso il basso, dove scorrono le strade e la ferrovia, stabilendo nel processo della loro differente configurazione geometrica un rapporto con le caratteristiche del contesto.
A nord, in prosecuzione con il nucleo formatosi attorno alla piazza, si sviluppa (secondo una direttrice ortogonale al ponte) un nuovo asse pubblico lungo il quale trova sviluppo un quartiere residenziale composto da una serie di edifici a blocco ed un crescent la cui curvatura trova motivazione nella presenza dell'imponente roccia di granito che sorge lungo Pasiliankatu.
Vicino alla fiera e all'arena sportiva, infine, il piano prevede la realizzazione di due nuove "isole", destinate al terziario e all'intrattenimento, la cui definizione formale, in parte, è il risultato di un adattamento alla complessa orografia locale. "Il profilo di questo nuovo complesso urbano agisce come un fondale per il lungo 'parco lineare' di Helsinki".
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