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Tre progetti dello studio Gigon+Guyer
Rivista Metamorfosi N° 63
di novembre/dicembre , 2006
Autore: Michele Costanzo
Articoli Non è facile stabilire categorie concettuali, o elaborare definizioni onnicomprensive nei confronti della produzione progettuale di Annette Gigon e Mike Guyer. E questa difficoltà deriva dal modo, del tutto singolare, in cui essi affrontano, e conseguentemente sviluppano, il tema architettonico. Pur nella varietà degli edifici realizzati nel corso della loro attività, infatti, essi sembrano indirizzati, da un lato, a perseguire una linea di ricerca basata sulla continuità, attraverso una formula espressiva che tende a perseguire, come obiettivo primario, le valenze concrete dell'oggetto, nonché la riduzione ai minimi termini del superfluo, del sovrabbondante, dell'incongruo rispetto ad una visione etica del fare progettuale, e dall'altro, a rompere gli stretti confini dell'uniformità, derivata dall'uso pervasivo della geometria impiegata nell'iniziale formulazione dell'impianto spaziale, attraverso un complesso e sottile gioco di varianti che mettono in crisi le "certezze" offerte da tale primario referente configurativo.
In sostanza, il loro approccio progettuale si sviluppa come se l'immediato obiettivo da raggiungere fosse quello di conservare, proteggere la fragilità di un messaggio spaziale, la delicatezza di una suggestione immaginativa all'interno di un apparato iconico in sé definito, basato su una rigida trama formale di riferimento. Per poi, immediatamente dopo, orientare il percorso ideativo lungo un itinerario al di fuori di prevedibili schemi formali, dietro la spinta di una tensione intellettuale e immaginativa che punta a ribaltare ciò che appare inizialmente come semplice, in complesso, seducente, sorprendente.
In effetti, com'essi affermano, «[...] la geometria ha solo un valore di supporto. Pensiamo con il materiale, come il pittore a volte pensa con il colore [...]. Proporzioni, spazi, e volumi sono misurati sulla base della consapevolezza di dover costruire con certi materiali. Così noi pensiamo all'architettura partendo dagli elementi specifici da usare negli edifici, e dalle tecniche impiegate per costruire oggi» .
L'opera di Gigon e Guyer si caratterizza, dunque, per il modo attentamente calibrato in cui sono in grado di controllare quel delicato processo di sviluppo che va dalla fase prefigurativa alla realizzativa, e per quel senso della misura che esse riescono ad imprimere all'oggetto, che corrisponde ad un equilibrio interiore della forma. E questo, è ciò che rende la soluzione progettuale vibrante, percorsa da ineffabili e arcane risonanze (più sentimentali che percettive).
A tutto questo, bisogna altresì aggiungere che l'apparente sospensione dell'immagine nei confronti del luogo, per quel senso d'astrazione in cui essa si lascia avvolgere, è il riflesso di un modo d'intendere il rapporto con l'intorno, naturale o artificiale, che non punta a stabilire un collegamento immediatamente esplicito. Gli architetti definiscono questo loro atteggiamento "arbitrario", in quanto creativo e, nel contempo, basato su una risposta diretta dei materiali.
Tale insinuante e articolato approccio al tema che contrassegna i loro lavori, è bene espresso nei tre progetti qui presentati: un piccolo museo, un edificio/contenitore per custodire e mostrare le opere d'arte di un mercante/collezionista e, infine, un sensibile e creativo "restauro" di una vecchia villa ottocentesca.

Il Museum Albers-Honegger a Mouans-Sartoux, Francia (2000-2004), è situato in un paesino sulle pendici delle Alpi Marittime, non lontano da Cannes. A seguito della donazione, da parte di una coppia di collezionisti svizzeri, Sybil Albers e Gottfried Honegger, di 500 opere d'arte concreta, la piccola cittadina francese è diventata un'importante tappa per i cultori di quella corrente artistica, il cui motto è: "what you see is what you see".
Durante gli anni Novanta, la collezione è stata ospitata negli spazi di un singolare castello a pianta triangolare, costruito alla fine del secolo XV. A partire dal 2000, ha preso l'avvio la costruzione di un nuovo edificio per ospitare, in maniera più adeguata le opere, in un ambiente che riflette, per certi versi, il loro carattere.
La costruzione di Gigon e Guyer sorge tra le querce e i castagni, seminascosta nello stesso parco del castello. Il terreno scosceso su cui sorge è lo spunto di partenza per la curiosa configurazione del volume, una sorta di torre asimmetrica a cinque livelli, con due ingressi indipendenti: uno per la galleria sistemato al centro del corpo verticale, e raggiungibile tramite un ponte-tubo; l'altro, più in basso, per la sala conferenze, e il deposito delle opere.
L'edificio è in cemento armato e le pareti esterne sono dipinte di un colore giallo-verde; e questo, per dare un senso di maggiore unità alla complessa figura architettonica che appare come una gigantesca scultura, ed anche per anticipare l'attacco del muschio sulla superficie.
Per soddisfare le richieste dei due collezionisti che hanno voluto conferire alla spazialità interna della galleria un carattere domestico, lontano da quello istituzionale del museo, la luce naturale non proviene dall'alto, ma attraverso delle finestre. Esse sono disposte lungo le pareti esterne in maniera apparentemente libera, e irregolare. La loro caratteristica è quella di essere protette da un pannello/filtro di vetro, montato in maniera leggermente distaccata dal muro, per regolare l'afflusso dei raggi ultravioletti, e per difendere dal vento le tende poste davanti all'infisso.
Lo spazio espositivo, contraddistinto da luminose pareti bianche, è concepito come un percorso continuo a spirale: un susseguirsi di piani sfalsati che s'inseguono attorno ad un nucleo centrale costituito da due corpi scala, e da un ascensore.
Nel parco del castello, infine, si trova anche una piccola costruzione, il Préau des enfants, realizzata da Gigon e Guyer, destinata a mettere in mostra l'attività creativa dei bambini.

Kunst-Depot Gallery a Wichtach, Svizzera (2002-2004) è un edificio progettato dai due architetti svizzeri per ampliare, con un volume indipendente, lo spazio della Henze-Ketterer Gallery. Si tratta di un piccolo Schaulagher -il grande monolito costruito da Herzog e de Meuron alla periferia di Monaco- un organismo destinato a custodire le opere, ad esporle ad un pubblico selezionato, interessato a prenderne visione, e ad ospitare mostre d'arte contemporanea.
La costruzione si sviluppa su tre due livelli, due fuori terra, ed uno interrato, ed ha una configurazione volumetrica dettata dal rettangolo irregolare di base, nato dalle caratteristiche del lotto, e dall'esigenza di creare un ampio parcheggio. I tre ambienti sovrapposti sono divisi longitudinalmente da una parete in cemento armato internamente cava (per consentire l'installazione degli impianti tecnologici), e sono collegati da una scala e da un ascensore. Il piano terra, oltre alla porta d'ingresso, è dotato di due finestre, e un bagno; il primo piano, di ulteriori due finestre e, in corrispondenza del servizio sottostante, di un cucinotto; il sotterraneo, di un piccolo spazio di servizio, sempre verticalmente incolonnato.
La scelta del tetto a due falde come copertura deriva dall'esigenza di rispettare lo stile tradizionale delle abitazioni circostanti.
L'organismo è realizzato in cemento armato; per ottenere un migliore effetto di climatizzazione, le pareti sono internamente isolate. Il rivestimento esterno continuo delle facciate e del tetto con un foglio di lamiera traforato "Tetra", montato su una struttura metallica opportunamente distaccata dall'involucro cementizio, collabora alla stabilità del microclima interno intercettando la luce solare che investe le finestre, e alla definizione di un'immagine architettonica singolare e accattivante. La camicia metallica, ondulata e semitrasparente, delicata e vibrante alla luce, modifica il senso dell'immagine volumetrica che essa copre, rendendo la densità, la pesantezza materica, e la sua stessa chiusura difensiva, a livello percettivo: fragile, leggera, permeabile.

Il restauro e l'ampliamento di una villa storica a Kastanienbaum, Svizzera (2002-2004), riguarda una residenza estiva di stile neoclassico, eretta, nel 1860, all'interno di un vasto parco lungo le pendici del lago di Lucerna. Nel 1927, l'edificio ha subito all'interno delle alterazioni, ed esternamente è stato aggiunto un volume per creare una nuova cucina.
L'intervento di Gigon e Guyer, in buona parte è stato indirizzato al recupero della spazialità e dello spirito originario, anche se tale secondo obiettivo risulterà espresso in maniera sottile ed impalpabile attraverso una molteplicità di operazioni minimali condotte con grande rigore formale.
Sono stati, così, ripristinati alcuni materiali caratteristici della villa, a partire dalle lastre d'arenaria verde che ricoprono l'esterno. Mentre, all'interno è stato restaurato il parquet di diversi ambienti, gli infissi originali di legno (solo per alcune finestre sono state raddoppiate le ante utilizzando strutture lignee esistenti), ed è stata, altresì, rimossa la carta da parati che rivestiva le pareti del torrino (mettendo in luce i disegni a matita tracciati dagli operai nel corso della costruzione).
Nel salone è stato inserito un nuovo caminetto realizzato con lastre d'ottone; ed è stata ripristinata la vecchia cucina, posizionando il piano cottura in acciaio al centro; e così, pure, nei bagni è stata installata la vasca distaccata dalle pareti, com'era in origine.
Infine, il corpo costruito nel 1927, che si trovava in cattivo stato di conservazione, è stato demolito e al suo posto è stato costruito un nuovo volume in cemento armato destinato a laboratorio/garage, accessibile dall'interno e dall'esterno; come, pure, la sua copertura a terrazza, fruibile dall'interno e dall'esterno tramite una scala. Il corpo aggiuntivo, colorato in verde, è ricoperto da una struttura a traliccio (anch'essa di colore verde oliva) che crea sul piano della terrazza un ambiente esterno coperto, una sorta di padiglione com'era nella tradizione delle ville del XIX secolo. Anche in questo caso, il modo di manifestare il rapporto con il contesto, da parte di Gigon e Guyer, avviene attraverso segni più allusivi che dichiaratamente espliciti; qui, essi prendendo lo spunto dall'arenaria che riveste le pareti esterne della villa per proseguire e coinvolgere, attraverso il tema del colore, la discreta e diafana presenza del padiglione, stabilendo, in questo modo, un rapporto di continuità tra nuovo, preesistente, e ambiente naturale del parco.
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