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Bernard Tschumi, Architetttura e disgiunzione, Pendragon, Bologna 2005
Rivista Parametro N° 261
di gennaio febbraio , 2006
Autore: Michele Costanzo
E' stato finalmente tradotto in italiano un testo teorico molto importante di Bernard Tschumi Architecture and Disjuction, rendendo di più facile accesso un contributo fondamentale per la cultura architettonica contemporanea.
Si tratta di una raccolta di saggi in cui l'architetto svizzero ha modo di delineare con estrema chiarezza, il proprio pensiero. Una serie di riflessioni tra loro distinte da sollecitanti titolazioni, che restituiscono nel loro insieme un approfondito quadro della genesi del suo pensiero e, soprattutto, dei suoi punti di riferimento culturali, che costituiscono un po' la gabbia teorica all'interno della quale egli sviluppa la sua azione progettuale.
Il libro è pubblicato in inglese nel 1996, a conclusione di una fase teorico/progettuale particolarmente intensa. Infatti, oltre alla realizzazione di importanti progetti (quali: Le Fresnoy a Tourcing, Bus/Railway Station a Losanna, Lerner Hall Student Center Columbia University a New York) pubblica, oltre Architecture and Disjunction, anche Event-Cities Praxis. All'apparenza due libri profondamente diversi tra loro per finalità e struttura, ma tuttavia strettamente interrelati, in quanto, l'uno è teso a fare il punto sulla riflessione teorica come impulso generativo della ricerca progettuale, e l'altro è rivolto alla prassi progettuale, come verifica dell'impostazione concettuale della ricerca. Le due opere si presentano, così, strettamente interdipendenti, e sottilmente connesse da suggerire l'immagine di un chiasmo.
Può essere utile ricordare, per meglio comprendere le intenzionalità legate a tale operazione che, nel 1990, l'autore aveva già pubblicato una raccolta di saggi intitolata Questions of Space, editi durante il quindicennio precedente e selezionati in base ad un tema comune: il concetto di spazio; «[...] l'idea di spazio sembrava l'unico comune denominatore tra città, architettura, strutture sociali», egli scrive, «esso, inoltre, si poneva al centro di una varietà di discipline: film, arte concettuale o performativa da un lato, matematica, letteratura e filosofia dall'altro» . Analogamente a ciò che, successivamente, avverrà per Architecture and Disjunction, Tschumi poneva l'antologia in rapporto con un altro testo, questa volta grafico-progettuale, quale The Manhattan Transcripts. «Questi libri, considerati nel loro insieme, costituiscono una realtà discontinua i cui frammenti sono meno importanti degli spazi che intercorrono tra loro. I frammenti, alla fine, portano al lavoro disegnato di The Manhattan Transcripts, una serie di episodi di architettura che hanno esplorato i concetti espressi nei testi scritti, a volte influenzando nuovi testi, in un reciproco scambio di import-export tra l'astrazione dei concetti e la costruzione delle immagini materiali. Questo avanti-e-indietro si è rivelato caratteristico di un particolare metodo di lavoro» .
Tale esperienza rappresenta per l'architetto la base da cui partire per affrontare questa seconda prova, con la chiara consapevolezza dell'obiettivo che intende raggiungere, e delle problematiche insite in tale operazione.
Egli, infatti, osserva che «[...] uno scritto di architettura differisce da qualsiasi altro scritto in quanto è per definizione incompleto, frammentario. Un elemento che è sempre in sé smarrito, poiché il testo è in stretta relazione sia con il disegno che con la costruzione architettonica. La giustificazione per uno scritto architettonico non sta mai da sola nel testo: l'autore è costantemente portato a confrontare il testo con un materiale e una realtà spaziale che potrebbe contraddire le sue affermazioni teoriche» .
La raccolta di saggi di Architecture and Disjunction, anch'essi editi in anni precedenti è, dunque, ancora una volta un tentativo, da parte dell'autore, di configurare un'opera organica con un suo preciso disegno progettuale e con lo sguardo rivolto alla prassi progettuale come alla necessaria verifica dell'elaborazione del pensiero.
Gli scritti selezionati vanno dal 1975 al 1991 e sono suddivisi secondo tre indirizzi tematici, che sono: spazio, programma, disgiunzione.
Nel primo, Tschumi cerca di individuare una strada in grado di superare le contraddittorietà interne alle molteplici teorie dello spazio che storicamente si sono susseguite nei secoli, nonché le loro reciproche posizioni conflittuali.
Come afferma in The Architectural Paradox e in The Pleasure of Architecture, tali opposizioni potranno essere superate a partire dall'introduzione della nozione di piacere, che rappresenta per l'architettura un atto di definitivo distacco dalla funzione e l'inizio della conquista di sue nuove possibilità d'essere percepita.
Nel secondo, mette in dubbio i dogmi classici di bellezza, solidità e utilità, e propone che la programmatica dimensione di utilità sia estesa alla nozione di evento; un concetto basilare corrispondente al principio fondativo della sua prassi progettuale. Un'espressione che spesso ricorre nei suoi scritti è infatti: "L'architettura è assai più legata all'evento che ha luogo nello spazio, che lo spazio stesso".
In Violence of Architecture non fa che approfondire il ricco e complesso rapporto che egli stabilisce tra spazio ed evento. Egli parte dall'assunzione delle possibili declinazioni del rapporto tra spazio ed evento, cercando di approfondirne le relative implicazioni. Il susseguirsi delle argomentazioni prende l'avvio dalla seguente affermazione: «Ogni relazione tra un edificio e i suoi utenti è una atto di violenza, in quanto qualsiasi uso significa l'intrusione di un corpo umano in uno spazio dato, l'intrusione di un ordine in un altro» . In questo caso, il termine violenza, non rappresenta la brutalità di un atto attraverso cui può venire offesa, o compromessa l'integrità "fisica ed emozionale" di un oggetto architettonico, ma piuttosto la metafora del rapporto tra individuo e spazio; allora, «[...] la violenza dell'architettura è fondamentale e inevitabile, in quanto è collegata agli eventi come la guardia è legata al prigioniero» .
Il punto è stabilire se esiste una simmetria tra azioni e spazio, o se uno dei due termini prevale sull'altro: è il corpo che viola lo spazio, o è lo spazio che viola il corpo?
Non bisogna trascurare, inoltre, la violenza del rito che purifica la spontanea interazione tra corpo e spazio. La ripetizione attraverso la forma del rituale, infatti, consente di individuare aspetti dell'azione originale sfuggiti al controllo. «Un rituale, che implica una relazione quasi-fredda tra azione e spazio. Essa istituisce un nuovo ordine dopo il disordine dell'evento originale» . Ma, tale controllo nella vita comune non riesce a compiersi; né, del resto, si potrebbe «[...]sopravvivere, se tutti i movimenti spontanei fossero all'improvviso, costretti in un serrato passaggio» .
Nel terzo, sviluppa le precedenti argomentazioni facendole convergere su una nuova e più dinamica interpretazione di architettura, basata sul concetto di disjunction, mediante il quale essa riesce a ritrovare la strada della propria autonomia.
Nella sottile trama di pensieri tessuta da Tschumi, traspare non solo la sua preparazione nel campo storico-critico, ma anche la notevole attenzione alla dinamica interna al pensiero epistemologico contemporaneo. In questo, sembra confortato dal ricordo di due illustri precedenti: «[...] tali saggi sono stati concepiti come capitoli di un libro che potrebbe -un po' come Vers une Architecture di Le Corbusier e Complexity and Contraddiction di Robert Venturi- fornire una descrizione della nostra condizione architettonica alla fine del XX secolo» . I testi, infatti, sono sostanzialmente costruiti nella stessa maniera; e la loro azione di "riassemblaggio" sull'analoga base di progetto di ampio respiro, rappresenta a un tempo uno spaccato dell'architettura del XX secolo e una visione sottilmente analitica della realtà progettuale contemporanea espressa in una chiave strettamente personale.