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Gabriele De Giorgi, Affioramenti. Avanguardia e città.
Rivista Rassegna di architettura e urbanistica N° 109
di , 2003
Autore: Michele Costanzo
Il libro di Gabriele De Giorgi, Affioramenti. Avanguardia e città, come mette in luce il sottotitolo, si sviluppa all'interno di un'area tematica già presa in esame dall'autore nel fortunato saggio La Terza Avanguardia in Architettura, uscito nel 1998.
L'aspetto singolare e, a un tempo, sollecitante (soprattutto per chi ha letto il saggio precedente), che l'autore compie nel suo tentativo di approfondimento delle complesse ragioni che stanno alla radice delle più significative espressioni della ricerca architettonica dell'ultimo ventennio, risiede nella diversa posizione scelta per considerare, sostanzialmente, il medesimo fenomeno.
Si tratta di un juego del réves del tutto particolare -per citare il titolo di una serie di racconti di Antonio Tabucchi , che indica anche il filo conduttore che le unisce- che consiste nel raggiungere il punto di fuga di una prospettiva e da lì guardare la rappresentazione da essa costruita: come mettersi al posto della figura di fondo de Las Meninas di Velazquez, su cui convergono le linee prospettiche che costituiscono il telaio della rappresentazione, e da lì scoprire ciò che si profila dinanzi.
Modificare il proprio punto d'osservazione è un modo per percepire quell'insieme di elementi che ogni 'scena' di per sé nasconde.
Nel saggio La Terza Avanguardia in Architettura, De Giorgi vedeva il concitato svolgersi delle multiformi esperienze architettoniche del "secolo breve", scandito dal succedersi di tre distinte fasi dell'avanguardia. Ma questo, più che isolare gli eventi, come in un rapporto sottilmente consequenziale, aveva la peculiarità di legare in un tutto organico le molteplici espressioni denotative delle diverse "tribù" architettoniche, nonché dei relativi "capi tribù".
Nel nuovo saggio, l'autore, non parte più dall'idea di continuità, ma di diversità, di distinzione. Tale indirizzo porta l'autore a configurare i tratti di un diverso modo di rapportarsi al reale che definisce "nuovo pensiero della marginalità". Ciò che lo determina è un insieme di concause che vanno: dalla perdita della visione prospettica al fenomeno di "diffusione urbana"; dall'incapacità di rapportare le problematiche dell'informatica ad un universo esistenziale di tipo collettivo e individuale, ai problemi di identità generati dal processo di globalizzazione. In definitiva, esso rappresenta il segno della crisi del Novecento, come pure la volontà di essere parte attiva nella configurazione di un diverso assetto esistenziale con differenti codici per contenuti nuovi.
Il denso intreccio di apporti ideativi-propositivi che hanno cominciato a delinearsi in maniera sempre più netta a partire dagli anni Ottanta, sono visti da De Giorgi come una sorta di plateau, come un piano ideale percorso da flussi energetici, la cui superficie è continuamente interpuntata da grumi di forze che danno impulso a nuove strategie e procedure.
Soggetto principale di questa 'narrazione', a cui l'autore pone allarmati interrogativi, è la "città geografica", 'luogo' di estensione sconfinata ed indeterminata, dove le distanze temporali sono abolite, dove la stessa nozione di dimensione è in crisi. E' certamente uno scenario non privo di storia, tuttavia ad esso non possono essere contrapposti strumenti conoscitivi basati su modelli che appartengono alla tradizione della città 'compiuta', 'delimitata'.
«La città geografica connota un paesaggio sempre più antropizzato, ingombro di miriadi di segnali, in cui le figure dell'interattività e della molteplicità sono sempre più ricorrenti. E' la nuova condizione della superficie terrestre, scomposta in sistemi ramificati, nodi piani sotterranei o in alzato, tridimensionali, con maglie ferroviarie, aeree, automobilistiche, dotate di intrecci residuali e scorie» .
A questo sfuggente paesaggio, gli architetti della Terza Avanguardia, sono chiamati a dare una loro risposta assai diversificata nei contenuti (in senso formale) come nelle finalità (in senso ideologico).
Al fine di dare un ordine all'apparenza disgregata di tale quadro l'autore individua una serie di "opzioni strategiche dell'avanguardia". La prima punta a mettere in luce le tematiche relative alla gestione urbana che la società contemporanea tende ad eludere. Si tratta di «sviluppare al massimo (...) le linee ispirate ai principi di libertà, di riconsiderare il "caos", di assumere il "disordine" come spunto programmatico di partenza» . La seconda è indirizzata verso la determinazione di nuovi strumenti operativi, facendo appello ad altre discipline quali il cinema, la musica, l'arte figurativa, o anche la filosofia la letteratura, etc.. La terza, infine, si rivolge alle possibilità di trasposizione in linguaggio architettonico di «concetti e valori che solo il nuovo pensiero della contemporaneità è ormai in grado di individuare» .
Il pensiero della metamorfosi, che nasce, osserva l'autore, dalla «crisi della ragione classica della modernità», può rivelare numerosi aspetti della contemporaneità «liberando nuove potenziali energie», e lungo questo filone, infatti, si andranno sviluppando tutti una serie di indirizzi (il 'decostruzionismo', il contributo del 'pensiero debole', le 'procedure d'intercettazione delle stratificazioni, le metodologie dialogico-situazionali) che andranno a sostanziare il processo trasfigurativo della Terza Avanguardia.