Recensioni 2000/2022
 

Scritti
 
Rss feed scritti
Luigi Prestinenza Puglisi, Silenziose avanguardie, Testo & Immagine, Torino 2001
Rivista Parametro N° 235
di luglio ottobre , 2001
Autore: Michele Costanzo
Silenziose avanguardie, è il titolo del recente saggio di Luigi Prestinenza Puglisi, in cui prende in esame un territorio della ricerca progettuale a lui particolarmente caro, ancora scarsamente esplorato dalla storiografia architettonica, quello dell'avanguardia novecentesca. In particolare, l'ambito su cui svolge la sua attenta indagine concerne un definito tratto temporale di tale percorso di sviluppo, come è specificato nel sottotitolo: Una storia dell'architettura 1976-2001.
Considerando che le più recenti pubblicazioni di Prestinenza Puglisi sono tutte orientate su questa specifica tematica (Rem Koolhaas. Trasparenze metropolitane, HyperArchitettura. Spazi nell'età dell'elettronica, This is tomorrow. Avanguardie e architettura contemporanea), la puntuale delimitazione del campo di indagine che egli opera potrebbe essere interpretato come la focalizzazione di un punto singolare rispetto ad un più ampio programma di ricerca. In questo senso, allora, lo studio sulla produzione architettonica contemporanea, Silenziose avanguardie, potrebbe essere considerato come la tappa di una sua marcia di avvicinamento verso il 'presente': come una sorta di viaggio alla scoperta della sorgente di un fiume, che in questo è, piuttosto, un'attrazione intellettuale verso il nucleo generativo del pensiero architettonico; obiettivo, peraltro, di non facile determinazione, sfuggente per il suo configurarsi come un 'centro mobile'.
Il saggio è suddiviso in tre capitoli, rispettivamente intitolati: Aria nuova, Rizomi e Architecture is now. Ciascuno di essi si sviluppa attorno ad un tema che costituisce lo spunto d'origine della trattazione e, contemporaneamente, il suo filo conduttore.
Nel primo capitolo l'autore prende le mosse dalla constatazione dalla tendenza al ritorno ad una forma di minimalismo, come chiaramente si evince dalla mostra del MoMA, The Un-Private House (1999), curata da Terence Riley; oltre che da una serie di saggi tra i quali l'autore segnala: Minimalisms di Anatxu Zabalbeascoa e Javier Rodríguez Marcos e Supermodernism di Hans Ibelings.
Questo nuovo indirizzo della più diffusa sensibilità è interpretato da Prestinenza Puglisi, come una forma di reazione all'eccesso di formalismo della tendenza 'decostruttiva' che aveva caratterizzato l'inizio degli anni Novanta.
Si tratta di un "ritorno alla semplicità" che, per l'autore, deve essere inteso come la fine dell'equivoco costituito dalla necessità di far corrispondere come unica, possibile interpretazione in senso estetico, della complessità dei fenomeni in cui si manifesta la società contemporanea, la registrazione più diretta, speculare della sua immagine.
Egli riconosce le figure di Peter Eisenman, Frank Gehry, Coop Himmelb(l)au tra quelle che hanno contribuito maggiormente ad aprire delle importanti strade nel campo della ricerca (peraltro, ancora non interamente percorse); tuttavia, analogamente a ciò che in precedenza aveva avuto modo di affermare in Hyper Architettura, egli nota che, attualmente, si stanno delineando delle più radicali possibilità nel campo dall'informatica.
La conseguenza più immediata di questa nuova realtà che si sta profilando, è la perdita della consistenza materiale da parte dei contenitori, per cui le pareti si trasformano in leggere membrane prive di peso, al di fuori della legge gravitazionale. E questo porta a una radicale riconsiderazione della dialettica, tradizionalmente sviluppata attraverso il rapporto tra internità ed esternità. «Oltre a ridefinire le opposizioni tra interno ed esterno, naturale e artificiale», scrive Prestinenza Puglisi, «la rivoluzione informatica mette in crisi le nostre categorie di giudizio artistico. Se lo spazio si trasforma in una serie di interrelazioni, cessa, infatti, la distinzione tra fruitore e opera e non ha più senso parlare di forma nel senso classico, intesa come cristallizzazione astratta di un'idea».
Perduto, da parte della gabbia prospettica, il ruolo centrale nell'impostazione progettuale e, di conseguenza, la fissità del punto di osservazione, l'edificio non presenta più fronti legate a quella logica percettiva. Quello che viene offerto ora è una gamma infinita di possibilità visive derivanti da un diverso modo di concepire l'oggetto architettonico, ossia come insieme di flussi.
La 'forma', divenuta un retaggio del passato, è sostituita dalla nozione di 'interrelazione' che tende ad esprimere «il coinvolgimento sensoriale (...) fra utente, oggetto e contesto».
Tale indirizzo assunto dalla ricerca contemporanea, egli osserva, se da un lato guarda con particolare attenzione all'avanguardia storica, si pone, altresì, in stretta continuità con le silenziose avanguardie degli anni Sessanta e Settanta.
Nel secondo capitolo Prestinenza Puglisi, considera come tema guida il saggio del 1976, di Deleuze e Guattari, Rizomi (la data andrà a costituire uno dei due termini temporali indicati nel sottotitolo del saggio). In esso, i due studiosi francesi prospettano quella che costituisce la forma di conoscenza della contemporaneità, non più basata sul principio della centralità, ma vicina , piuttosto, all'immagine filamentosa di un rizoma, ossia di un tubero, di una radice avventizia sotterranea e strisciante.
Il nuovo sistema di percezione del reale, privo di memoria organizzatrice risulta, in questo modo, eccentrico, antigerarchico. Al posto di una forma di conoscenza del mondo di tipo unitario, che aveva caratterizzato la cultura della modernità, ora l'uomo deve tener conto di un insieme di conoscenze che possono dare origine a una molteplicità di espressioni della sensibilità dell'intelletto.
Nel terzo capitolo, l'autore parte dalla presa d'atto del crollo delle concezioni estetiche classiche, fondate sui concetti di ordine, simmetria e continuità. Delineato, in questo modo, il quadro della situazione presente, ossia come sistema privo di centro, costituita essenzialmente da flussi comunicativi, l'estetica del sublime appare, allora, come un possibile criterio interpretativo, orientativo rispetto al reale, tramite il quale elaborare nuove forme espressive.
Nell'estetica del sublime il valore si libera generando diversità «di opinione, di costume sessuale, religione, genere di vita».
Questa concezione (opposta rispetto alla concezione prospettica tradizionale), porta al superamento della cultura strutturalista e all'adozione della logica rizomatica.
Attraverso la linea di sviluppo di questo tracciato, Prestinenza Puglisi, legge il senso del concatenarsi delle vicende, passate e presenti, del pensiero avanguardistico.
Il disegno programmatico entro cui l'autore sviluppa la sua ricerca, e che mantiene unita in maniera organica buona parte della sua ampia produzione intellettuale, è interessante osservare, lascia trasparire il carattere "operativo" del suo fare critica che, in questo modo, zevianamente, viene a porsi come ragione prima del suo essere. In questo senso la ricerca di Prestinenza Puglisi sembra tendere, sempre più, a porsi come partecipazione diretta agli eventi.
E' così che, in conclusione a Silenziose avanguardie, egli prospetta, come prossimo obiettivo, uno studio dedicato alle giovanissime generazioni: «(...) occorre che gli architetti lavorino all'interno del paradigma elettronico senza inibizioni, ma anche senza illusorie fiducie. Proseguendo la ricerca d'avanguardia dei protagonisti degli anni Ottanta e Novanta (...). Oggi, gli stessi personaggi, appesantiti dalle richieste di mondanità dello star system, faticano a dirimere gli interrogativi che loro stessi hanno contribuito a proporre. E' il momento di affiancarli con forze nuove, più autentiche e meno compromesse. Una generazione di quarantenni si profila in Olanda, Giappone, Stati Uniti e (...) nelle altre realtà europee. Qualcuno timidamente emerge anche in Italia, superando il pervicace ostracismo di un sistema da decenni incapace di produrre architettura. Un particolare fervore si registra fra i trentenni. Fra loro, questa volta numerosi italiani che hanno capito che per essere buoni architetti occorreva scappare in Europa e negli Stati Uniti, resettando la propria cultura architettonica».