Libri 2000/2022
 
La palazzina in via di Villa Sciarra
Autore Michele Costanzo
Editore postmedia books, 2016
Pagine
Libro Il genere del romanzo è poco utilizzato dagli architetti come forma narrativa. Pochi si sono cimentati con il genere.
Forse il caso più interessante nella storia è quello di Fernand Pouillon, poco incline alla teoria del progetto così come siamo abituati a leggerla, ma molto attivo nella progettazione e nella realizzazione di edifici (alcuni dei quali e veri e propri capolavori indiscussi dell'architettura).
La sua teoria era la costruzione di spazi, più che quella di oggetti, i suoi riferimenti principali riportavano a quei grandi organismi rappresentati dalle abbazie.
La sua teoria è perfettamente descritta nel suo unico romanzo Il canto delle pietre diario di un monaco costruttore che nel XII secolo in Provenza edificò l'abbazia di Le Thoronet, un capolavoro di architettura cistercense. La vita di un cantiere medievale utilizzata per descrivere la professione dell'architetto, con la meticolosa descrizione dei problemi tecnici, finanziari e dottrinali che ostacolano i lavori, ancora di attualità sconcertante.
Una cronaca che si completa con una riflessione sul rapporto fra il bello e il necessario, fra l'uomo e la natura.
In questa linea di ricerca, in un periodo diverso della storia e con altre premesse che si inquadra questo romanzo di Michele Costanzo. Un tentativo, riuscito tra l'altro di racconto autobiografico dove si immagina un'altra possibile alternativa a ciò che è stato.
Una Roma contemporanea fa da cornice alla costruzione di un piccolo edificio, che prima di essere architettura è metafora di un rapporto familiare padre figlio, attorno al quale il protagonista concentra tutte le sue forze. La costruzione è anche enunciazione di una teoria debole sul valore di un museo e di una collezione privata. Arte e architettura, e passione familiare si fondono quindi in una narrazione fluida.
Non è un caso che lo stesso autore abbia da poco completato un lungo saggio sui musei americani progettati da Philip Johnson, come luoghi ibridi tra residenza di collezionisti e spazi pubblici. Molte delle riflessioni critiche, e forse un'empatia con lo stesso architetto americano che progetta la propria residenza come un insieme di padiglioni immersi nella natura, trova nel romanzo un compimento progettuale. Quindi siamo di fronte ad un romanzo ma anche ad un vero e proprio progetto.
Alla fine degli anni cinquanta Andrè Malraux teorizza il museo contemporaneo come luogo dell'immaginario in cui periodi diversi si sovrappongono e confrontano tra di loro. In questo romanzo l'idea della collezione d'arte come spazio mentale capace di amplificare l'immaginario degli individui si riflette nella costruzione dello spazio fisico.
Pagina dopo pagina attraverso una scrittura lenta l'autore, racconta anche se stesso, i suoi desideri e riscrive la propria storia personale sovrapponendola agli affetti più cari, lo spazio della scrittura e l'edificio che lentamente prende forma attraverso le descrizioni dei dettagli costruttivi e dei materiali usati, è la metafora di desideri e fatti realmente vissuti.

L'opera non si occupa più di rappresentare la realtà, il suo obbiettivo ora è quello di essere la realtà. Realizzare un'opera non vuol dire più eseguire un bel quadro, ma creare un momento di transizione progettuale dove ciascuno possa togliere o aggiungere qualcosa, a patto che questo qualcosa non smentisca mai la sincerità della sua natura.

Il libro è anche un viaggio dentro una città che cambia non cambiando mai, Roma è lo sfondo ma anche in un certo senso la protagonista di questa idea di architettura che si adatta ai luoghi, che cerca il compromesso giusto, in un certo senso Roma è questo.
Sicuramente avevano ragione I Superstudio che dopo aver lavorato assieme tanti anni si separano dichiarando che l'architettura sarà la nostra vita, anche Costanzo lo dice piano ma lo dice, prima di tornare dentro il suo studio a scrivere assieme al protagonista di questo romanzo per lavorare ad un altro progetto.