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Gli ospedali di Emergency
Rivista Metamorfosi N° 59
di marzo aprile, 2006
Autore: Michele Costanzo
Articoli «La litania più ricorrente dei nostri tempi molli e opachi, pancia bassa nella sinusoide dell'alternarsi dell'umana vicenda, è "non ci sono più valori". Incontriamo questa litania anche nella variante nostalgico/rinunciataria "non ci sono più ideali per cui battersi"» , scrive Moni Ovadia, nella prefazione a Pappagalli verdi, riflettendo sulla violenza, la sopraffazione dei deboli, delle donne e dei bambini, la violazione dei diritti umani che sembrano essere le uniche "ideologie" in grado di viaggiare incontrastate per il mondo. Per fortuna, nonostante quanto detto, ci sono ancora "uomini con qualità" che sono disposti ad impegnarsi in maniera diretta "rimboccandosi le maniche", come il chirurgo di guerra Gino Strada, il quale ha «[...] poche idee, forse meno che poche: risarcire l'uomo ferito e menomato dalla violenza dei suoi simili» .
Emergency è un'organizzazione umanitaria che nasce a Milano nel 1994 per iniziativa di Strada, con lo scopo di portare assistenza medico-chiturgica alle vittime dei conflitti armati che si sono succeduti in Iraq (dal 1995), in Cambogia (dal 1997), in Afghanistan (dal 1999), in Sierra Leone (dal 2000), in Sudan (dal 2004), in Sri Lanka (dal 2005), e continuano a succedersi quasi senza sosta. «In questi luoghi umani violati e negati», nota ancora Ovadia, «i Gino Strada costruiscono l'umanità possibile del futuro, l'unica possibile» .
Un tipo d'intervento, che prende forma sulla base di accordi con le autorità locali; e quando il paese è diviso da un conflitto interno, Emergency è presente su entrambi i fronti in modo da garantire il supporto sanitario a chiunque ne abbia la necessità.
Com'è riportato negli scritti informativi ufficiali ed in ogni depliant finalizzato alla raccolta di fondi, l'obiettivo d'Emergency è quello di promuovere una cultura di pace e di solidarietà; attraverso un aiuto indirizzato all'immediata sopravvivenza di tutte quelle popolazioni che soffrono a causa dei conflitti armati (e delle relative conseguenze, quali: fame, povertà, emarginazione), indipendentemente dalla loro appartenenza politica, ideologica, o religiosa.
Il genere d'aiuto che l'organizzazione umanitaria fornisce è fondamentalmente teso a risolvere due problematiche di massima urgenza: eseguire degli interventi chirurgici volti al recupero riabilitativo in senso fisico e sociale delle vittime della guerra e costruire, come necessaria conseguenza, degli ospedali (centri di riabilitazione fisica e sociale, e posti di primo soccorso) che vengono messi in opera in luoghi assai impervi da raggiungere per la mancanza di vie di comunicazione, ed insicuri per i conflitti in atto.

Questo scritto si occupa della seconda delle due questioni, concernente la realizzazione degli edifici ospedalieri, cercando di ritrovare nella spinta etica che guida le singole esecuzioni, che ne motiva l'impianto spaziale e la stessa caratterizzazione formale, le tracce di un percorso che l'architettura della nostra società dei consumi sembra avere definitivamente smarrito.
Si tratta di un'esperienza a cui potrebbero adattarsi le parole di Ludovico Quaroni, quando afferma, facendo un bilancio sulla sua esperienza del Tiburtino, che essa rappresenta "il risultato di uno stato d'animo", in qualche modo, rivolto a risarcire una delle più gravi forme del fallimento umano che è la guerra: «E' un'opera [...] che non troverà mai posto in una storia dell'arte, per quanto indulgente possa essere, ma che certamente "fa parte" di diritto della storia dell'architettura italiana (senza riferimenti alla "poesia" e alla "letteratura"» .
Gli ospedali di Emergency, sono tutti diversi tra loro perchè nati da situazioni locali, ciascuna con sue specifiche caratteristiche, che vanno dalla localizzazione geografica, all'esistenza o meno di strade, ai materiali disponibili, alle tecnologie più opportune da impiegare, alla possibilità e ai modi di utilizzazione delle maestranze locali. Tutti gli edifici costruiti, però, risultano essere legati da un filo comune che li rende sostanzialmente 'identici' tra loro, che è costituito dalla qualità del manufatto, dall'alto impegno nella sua gestione, e dalla passione che ha guidato la loro realizzazione (come i figli di diversi padri che Filumena Marturano ama 'indistintamente'). «Uno dei principi della nostra organizzazione», scrive Strada, «che spieghiamo al personale medico e paramedico disposto a partire con noi, è semplicissimo: "Non si va nei paesi del così detto 'Terzo mondo' a portare una sanità da Terzo mondo. Un ospedale va bene quando tu saresti disposto, senza esitazione, a ricoverarci tuo figlio, tua madre, tua moglie"» .

L'ospedale di Lashkar-Gah , capoluogo della provincia pasthun di Helmand, a 100 chilometri da Kandahar, è il terzo di Emergency realizzato in Afganistan. L'area messa a disposizione dal Governo è di mq. 4000, il Centro chirurgico ne occupa la metà (con una capienza possibile di 100 posti letto). La struttura dispone di una "torre dell'acqua" con la bandiera di Emergency e un pronto soccorso ed, inoltre, ha quattro corsie con 65 letti, un locale per la terapia intensiva con 6 letti, e due sale operatorie; altre attrezzature sono: la farmacia, il laboratorio d'analisi, la radiologia, la fisioterapia; e, ancora: la cucina-mensa, la lavanderia, la stireria, gli uffici amministrativi, il locale per la manutenzione, ed un ambiente destinato alla preghiera.
I lavori hanno avuto inizio nel gennaio del 2003; l'attività è stata interrotta in primavera a causa della presenza minacciosa dei talebani: a luglio il cantiere ha ripreso a lavorare e, alla fine del febbraio 2004 i muri dell'edificio avevano raggiunto complessivamente l'altezza di m. 3, 60. E mentre si attendeva di completare la copertura del tetto in cemento armato già si cominciavano ad intonacare le pareti. Per affrettare la messa in opera degli impianti, contrariamente alla consuetudine che è quella di acquistare i materiali in loco, è stato necessario spedire un conteiner da Genova che ha raggiunto via mare Karachi in Pakistan, e poi via terra, impiegando due mesi, ha raggiunto Lashkar-Gah. Altre due spedizioni sono state necessarie per i set chirurgici, le apparecchiature elettroniche, e i farmaci.
Il tratto asfaltato di strada, che unisce Kabul a Kandahar, ha facilitato in parte i collegamenti, ma bisogna considerare che oltre Kandahar c'è il deserto dove si viaggia nella polvere lungo fasce di sabbia a stento individuabili fuori delle quali si potrebbero incontrare le mine antiuomo.
La città non ha una chiara configurazione spaziale. «Non ci sono edifici alti e i trentacinquemila abitanti sono distribuiti su una superficie abbastanza estesa. [...] rispetto a Kabul e Kandahar questo è davvero un'altro mondo. Si percepisce da come sono le persone, da come sono le strade, dai ritmi, dai rumori e dai silenzi diversi» .
L'ospedale, al contrario, appena completato, è immediatamente dotato di tutti quei segni esteriori che stanno a significare "ospedale". «Oltre l'ingresso, le sagome tracciate delle aiole: perchè tutto il giardino sia ricco di colori occorre un tempo che ancora non c'è stato. [...] Ma l'immagine di un ospedale -il suo senso la sua "verità"- sono i ricoverati» .

L'ospedale, per i medici che prestano la loro opera per Emergency, è una struttura della "necessità", per cui l'edificio in sé, anche se amato, protetto, maniacalmente curato, è descritto negli articoli della rivista «Emergency», come in altre pubblicazioni, con estremo pudore, o ritegno rispetto alle sue valenze formali anche se riferite ad aspetti marginali apparentemente irrilevanti, quale potrebbe essere il disegno di alcune aiuole fiorite. Questo, perchè l'espressione di un sentimento estetico sembra porsi in drammatico contrasto nei confronti di luoghi e popolazioni che con la guerra sembrano essere stati spogliati di tutto, se non dei sentimenti umani basilari.
Tale 'problematico' rapporto con l'oggetto architettonico è assai bene espresso da Strada, nel suo libro Buskashì, in cui descrive il suo viaggio "dentro la guerra" nel tentativo di raggiungere con i suoi compagni gli ospedali ad Anabah e a Kabul, costruiti in Afganistan tra il 1999 e il 2001, per rimetterli in funzione. Alla fine della loro 'avventura', alcuni medici del gruppo andranno nell'ospedale del Panshir, Srada ed altri raggiungeranno quello di Kabul. «Non smetto di camminare per l'ospedale», egli scrive, «è come riappropriarsene. Le stanze vuote e fredde presto riprenderanno vita, torneranno a essere corsie per i nostri pazienti, la giostra e lo scivolo e le altalene si riempiranno ancora di bambini. Qualcuno ci critica per questi "particolari", i "lussi" non strettamente necessari alla sopravvivenza dei pazienti: le pareti affrescate nelle corsie pediatriche, la cura maniacale della pulizia, dei pavimenti lucidi, dei servizi igienici in cui si sente l'odore dei detersivi.
Dicono che c'è sproporzione rispetto al livello del paese, alle devastazioni della guerra che segnano il territorio appena fuori il muro di cinta dell'ospedale.
Ma perché? Costa poco di più mettere nel giardino bougainville, gerani e rose. E altalene. Costa poco e aiuta a guarire meglio. Sono sicuro che i nostri sostenitori, quelli che sottraggono cinquanta euro alla pensione, o che consegnano agli amici, come lista di nozze, il nostro numero di conto corrente postale, sono d'accordo con questa scelta» .
www.emergency.it

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