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Tre opere di Livio Vacchini.
Rivista Metamorfosi N° 65
di marzo/aprile, 2007
Autore: Michele Costanzo
Articoli I tre progetti di Livio Vacchini presentati in queste pagine, riguardano: un edificio per uffici a Locarno (2000-2003), denominato la Ferriera, e due abitazioni unifamiliari, Casa Vittoria (2000-2003) e Casa Koerfer (2001-2004), situate in due punti privilegiati dell'aspro e attraente paesaggio del Canton Ticino.
Le opere, pur nella diversità delle situazioni che le caratterizzano e ne condizionano più o meno marcatamente le scelte, mettono in luce come un primo dato comune, d'immediata percezione, la particolare capacità di Vacchini nel trattare lo spazio architettonico: assai prossima al "tocco" di un concertista la cui attitudine del tutto speciale è quella di produrre un'aerea rarefazione del suono; esso, infatti, risulta essere sempre netto, perfettamente definito, attentamente meditato e, nello stesso tempo, particolarmente invitante.
Il modello d'immagine architettonica, su cui egli in genere opera, oltre ad essere assolutamente contenuto nell'espressione formale, punta ad esprimere una forza interiore che l'utente percepisce lasciandosene catturare, sia dal punto di vista istintivo emotivo, che mentale.
Questo secondo grado di rapporto con l'opera più riflessivo, che l'autore in qualche misura indirettamente sollecita in chi entra in contatto con i suoi lavori, discende dal fatto che egli pone l'atto configurativo di ogni sua costruzione all'interno di un processo di confronto e rilettura critica con personaggi e opere del passato, che egli sente come ancora in grado di trasmettergli la giusta spinta per elaborare idee, ed un diverso punto di vista per osservare, comprendere ed intervenire nel reale.
E' il caso della Ferriera, la cui spinta ideativa prende l'avvio da un diverso modo di considerare il principio del trilite, estendendo e trasformando, in questa occasione, il suo specifico carattere formale, e la sua stessa interna logica. «Il muro è un limite che separa e rende diversi due spazi», osserva Vacchini, «Il trilite è un muro che viene aperto per lasciar penetrare la luce. Per portare il tetto si pone l'architrave. L'architrave non è più un muro. La sua natura è altra. Per la Ferriera volevamo differenziare in modo radicale questi due elementi, seguendo le tracce di Mies nella Galleria Nazionale a Berlino. Volevamo però andare oltre: fare che la trave diventasse tutta la parte dell'edificio che sta sopra il piano terreno» .
Il lotto su cui sorge la Ferriera, si trova all'interno della scacchiera del piano d'espansione ottocentesco di Locarno. In un primo tempo era stato previsto un edificio diverso da quello poi realizzato da Vacchini. Di tale progetto era stata realizzata solo la struttura sotterranea con parcheggi su due livelli; essa era provvista di una soletta di copertura di 90 centimetri, concepita, e realizzata come base d'appoggio per un immobile formato da quattro corpi distinti.
La nuova costruzione, per la sua diversa conformazione, non potendo utilizzare le sottostrutture già esistenti e volendo la committenza limitare al minimo gli interventi sull'esistente, ha dovuto assumere come dato di base il fatto che i carichi potessero solo essere concentrati in otto punti. Inoltre, i tempi ristretti della realizzazione ha imposto una struttura leggera e rapida nell'edificazione, per cui l'impiego dell'acciaio come materiale prevalente, sarà una scelta obbligata.
Stante questa premessa, il progetto si configura come una ideale trave d'acciaio alta 19 metri contenente l'edificio che si poggia su otto piastri in cemento armato, due per ogni lato, posti in una posizione intermedia, in modo da lasciare uno sbalzo agli estremi di 17 metri.
In questo modo, l'autore ha cercato di trasferire la logica della struttura a un piano, come è il caso del "modello di riferimento", ossia come si diceva la berlinese Neue Stadt Galerie, in quella di una struttura multipiano, composta da cinque livelli.
Per portare luce al corpo interno degli uffici la trave è stata bucata, creando una griglia attraverso l'incrocio ortogonale di travi d'acciaio con interasse di m. 1,70.
Le travi della griglia sorreggono i solai (che sono in acciaio e calcestruzzo armato); due delle facciate, la est e la ovest, sono portanti, le altre due fungono da appoggio. Esse sono formate da travi a doppio T le cui ali sono collegate da lame inclinate a 45°; e questo, per conferire maggiore rigidità al sistema, e meglio regolare l'afflusso della luce sulle facciate vetrate interne. Inoltre, per smorzare l'effetto del loro riflesso, tali superfici sono schermate da elementi in rete metallica dalla trama molto fitta.
La trave-parete d'acciaio racchiude all'interno del suo involucro quadrato due corpi (arretrati circa m. 1,50) disposti in modo da lasciare al centro un vuoto a tutta altezza per favorire la penetrazione dell'aria e della luce. Ognuno dei due corpi è stabilizzato da due noccioli in calcestruzzo armato contenenti i vani scala e i volumi degli ascensori. Essi sono ancorati alla soletta esistente e alla sottostruttura.
L'idea che sostanzia il progetto è quella di mantenere libero il piano terra come luogo pubblico, consentendo la penetrazione all'interno, la fruizione dello spazio, o solo l'attraversamento dell'edificio, trasformando idealmente i piani superiori in una sorta di "grande tetto".

Casa Vittoria a Ciona è una piccola villa per vacanze situata su un terreno roccioso in forte pendenza, con vista panoramica rivolta verso il lago di Lugano.
L'impianto si sviluppa attorno ad un frammento di terreno triangolare; per cui, parzialmente indotto da questo dato contestuale, Vacchini ha modo in questa occasione di applicare uno schema collaudato che è quello di scindere l'organismo in due solidi geometrici di diversa dimensione, che poi ricompone (in questo caso) secondo un disegno a L.
Il volume dimensionalmente più ridotto ospita due camere da letto, e due bagni. Il volume più grande, che è a doppio livello, contiene: in quello superiore (corrispondente al piano delle camere da letto) il soggiorno e la cucina, e in quello inferiore (raggiungibile tramite una scala interna) uno spazio destinato agli ospiti.
Dal lato verso il lago si affaccia il corpo a doppia altezza, dotato di ampie vetrate, collegato esternamente da una lunga scala, ancorata al costone roccioso, che conduce direttamente all'ingresso della casa e, nel contempo, costituisce un segno forte che orienta l'edificio, il percorso d'accesso e, data la forte pendenza, favorisce anche la scoperta graduale del paesaggio.
Dal lato interno i due corpi si affacciano su un piccolo giardino.
La costruzione, in calcestruzzo a vista, si caratterizza per un suo disegno asciutto e lineare che, nel rapporto con il paesaggio circostante mette bene in evidenza una ricercata e sottile contrapposizione con l'accattivante asprezza dell'ambiente naturale.

Casa Koerfer a Ronco, come l'edificio precedente, è una piccola villa che s'inserisce lungo un ripido costone che si affaccia, questa volta, sul lago Maggiore.
Per ricavare la stretta lingua di terra su cui si dispone la costruzione, lasciando l'altra metà della sua lunghezza a prato, è stata necessaria una complessa operazione di scavo e consolidamento; e poi, per lasciar prevalere la materia naturale tutto quello che sta attorno alla casa (muri di sostegno, pavimentazioni, e quant'altro) è rivestito in pietra.
L'edificio si compone di uno spesso e lungo "fascione" in cemento armato, realizzato in opera, piegato ad L: un tratto verticale, ed uno molto più esteso orizzontale, sostenuto alla sua conclusione da un pilastro, situato nel punto d'inizio del prato.
All'interno di tale struttura che definisce l'ambito concettuale dell'alloggio, una sorta di ideale "grotta" o protettivo recesso, è inserito un corpo ligneo, a due piani, di dimensioni più ridotte rispetto al suo "contenitore", realizzato in officina e montato sul posto.
Tale "scatola", dove si svolgono le attività del vivere quotidiano, è illuminata/areata da due lunghe vetrate disposte longitudinalmente, scandite dalle spesse cornici degli infissi. Distributivamente, a piano terra contiene il soggiorno, il pranzo e poi, cucina, servizi; mentre il piano superiore è destinato alla zona notte.
Il forte segno architettonico del piano verticale che si piega a formare il tetto richiama, per il messaggio protettivo a cui rinvia, valori ancestrali dell'abitare; mentre lo stretto rapporto tra parete in cemento a vista e legno naturale, rimanda ai Laboratoti Salk di Kahn, un salto temporale e logico del tutto apparente in quanto si tratta di punti di riferimento, di tracce orientative di un percorso mentale assai consueto per Vacchini che da un lato richiama figure e momenti della storia lontani o prossimi per poterli rileggere, trasformare, superare, risignificare con fantasia e acume critico. Non a caso egli afferma: «Kahn ci ha reso problematico il fatto che in fondo stiamo sempre facendo la stessa cosa» .
Il carattere dell'intervento rimarca, dunque, la tipicità della sua visione progettuale concreta e sensibile rispetto alla realtà e, a un tempo, astratto-concettuale.

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