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Sauerbruch / Hutton Architects. Museum Bradhorst
Rivista compasses N° 12
di , 2010
Autore: Michele Costanzo
Articoli Una degli aspetti distintivi della ricerca architettonica diè l’interesse a porre in stretta relazione, fin dalla fase iniziale del progetto, l’aspetto ideativo-concettuale con quello tecnologico-costruttivo.
Inoltre, lo studio si caratterizza per l’attenzione con cui realizza soluzioni specifiche per i diversi siti, progetta edifici eco-sostenibili, impiega tecnologie aggiornate, nonché utilizza le risorse esistenti nel contesto di ciascun progetto. I suoi lavori fanno ampio uso del colore per il rivestimento delle superfici esterne e, in numerosi casi, di linee curve nella configurazione dell’oggetto architettonico, al fine di renderlo plastico, avvolgente, accattivante. In altre situazioni, che rispondono sempre a suggerimenti provenienti dalle caratteristiche del luogo, al contrario, l’edificio è sagomato secondo un profilo geometrico, composto da superfici rettilinee, come nel caso del Museum Brandhorst a Monaco qui presentato.

Il Museum Bradhorst a Monaco (2002-2008) è un nuovo e importante organismo espositivo che va ad arricchire la così detta Kunstareal costituita da: l’Alte Pinakothek, la Neue Pinakothek, la Pinakothek der Moderne, il Palais Pinakothek, la Glyptothek, la Lenbachhaus, la Staatliche Antikensammlungen.
Il nuovo edificio ospita la collezione di Udo e Anette Brandhorst: 700 importanti opere d’arte contemporanea che vanno, da Gerhard Richter ad Andy Warhol, da Bruce Naumann a Jean-Michel Basquiat, da Georg Baselitz a Jannis Kounellis.
La costruzione si trova nel distretto ottocentesco di Maxvorstadt, gravemente danneggiato durante il secondo conflitto mondiale e poi ricostruito. L’area su cui sorge il museo è stata in precedenza occupata dalla Türkenkaserne (1826), una caserma distrutta dai bombardamenti. Di essa resta solo il frammento della Türkentor recuperato da Sauerbruch / Hutton per realizzare un circoscritto spazio espositivo.
Due volumi compongono il Museum Bradhorst. Il primo, a base rettangolare e lungo 98 metri, si affaccia sulla Theresienstrasse. La sua altezza di 17 metri riprende quella della vecchia caserma e della vicina Pinakothek der Moderne (di Stephan Braunfels) che sorge nello stesso lotto. La costruzione è su due livelli, più uno interrato. Al suo interno si trovano gli spazi espositivi e gli uffici amministrativi. Nel sotterraneo ci sono gli spazi per il personale della sicurezza, per il deposito-magazzino e per il laboratorio di restauro. Il secondo, a base trapezoidale e alto 23 metri, riprende la quota del frontistante complesso abitativo (progettato negli anni Cinquanta da Sep Ruf). E’ situato all’angolo tra la Türkenstrasse e la Theresienstrasse e, in corrispondenza di tale incrocio, si trova l’ingresso. Il lato più lungo rivolto verso la Türkenstrasse è arretrato di 8 metri per far posto ad un filare d’alberi. L’interno è su due livelli, più uno interrato. A piano terra si trovano, il foyer, la biglietteria, la caffetteria, il bookshop. Al piano superiore, una sala destinata al ciclo di opere di Cy Twombly denominata “Lepanto”. Nel piano interrato c’è una a sala per conferenze e incontri.
Tali distinti corpi di fabbrica ritrovano una loro ideale unità attraverso il forte segno lineare di una finestra a nastro, posizionata ad un’altezza mediana, che li avvolge. Delle finestre aggiuntive, isolate forniscono dei punti di vista mirati verso l’esterno dell’edificio. Una di queste, che corrisponde ad una sala di riposo per i visitatori, guarda verso la Pinakothek der Moderne e l’Alte Pinakothek.
La singolarità del museo è quella di apparire come un blocco squadrato, dalle pareti lisce e, ad un tempo, come un oggetto metamorfico: per via del suo originale rivestimento colorato composto di cannelli di ceramica smaltata multicolori, montati verticalmente. Per l’effetto prodotto, ora dal contrasto e ora dalla fusione dei colori, la percezione dell’opera, subisce un effetto dematerializzante. “Riflettendo sulla natura rappresentativa dell’edificio”, osserva Hutton, “in quanto museo siamo giunti alla conclusione che doveva, avere affinità con certi esperimenti ottici effettuati da alcuni artisti negli anni Sessanta e Settanta. Se, infatti, si mettono uno dietro l’altro dei cannelli di ceramica verde e rosa, guardando da un certa distanza, si percepisce un colore grigio. Via via che ci si avvicina, però, ci si accorge che la facciata, oltre ad una profondità ottica, creata dal gioco dei due colori, ha anche una sua profondità reale”.
I due piani sono collegati da un’imponente scala, rivestita di quercia, la cui plastica e dinamica presenza tende ad attenuare l’asciutta semplicità spaziale delle sale. Inoltre, ad allontanare definitivamente l’avvicinamento all’ideale del White Cube, c’è da considerare l’asimmetrico posizionamento dei passaggi da un ambiente all’altro che rendono il percorso dinamico, arricchito da numerosi scorci prospettici.
Il marchio distintivo di Sauerbruch / Hutton nasce da un’originale miscela d’eleganza, arditezza, precisione del segno, da un meticoloso studio della luce naturale e da un intenso dialogo con gli elementi naturali, mai disgiunto, come si è detto, da uno serrato rapporto con il tessuto urbano e da un interesse per la sostenibilità dell’ambiente. In questo modo, dietro la colorata pelle esterna del museo si trova una complessa struttura che filtra il rumore proveniente dall’esterno, mentre i pavimenti in parquet di rovere danese sono studiati in modo da assorbire quello dell’interno.
L’aria calda o fredda che esce dai pavimenti e dai soffitti scambiando il calore con le diverse sale creando un equilibrio termico ideale, sia per il visitatore, che per le opere d’arte. Tale impianto si basa su una pompa sotterranea che sfrutta la risorsa naturale di tutto il quartiere data dall’acqua alla temperatura di 18°.
Per l’illuminazione è stato impiegato un sistema di toplights inserito nelle pareti laterali e nei lucernari provvisti di brise-soleil e coperti da controsoffitti in tessuto, per ammorbidire e diffondere la luce.

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