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Diller e Scofido. Blur, un’architettura dall’indeterminabile forma di una nuvola
Rivista Metamorfosi N° 44
di gennaio febbraio marzo, 2003
Autore: Michele Costanzo
Articoli «Se in una giornata di nebbia, quando la nebbia entra nel Sant'Andrea di Mantova, entrate nel tempio», scrive Aldo Rossi nella sua Autobiografia scientifica, «vi rendete conto che nessuno spazio si è tanto avvicinato alla campagna, proprio della bassa padana, quanto questo spazio misurato» .
Quella nuvola, che attraversa l'interno della chiesa, per poi volar via quasi radente sui campi coltivati -che l'architetto milanese intravede come un insospettabile tramite che mette in atto, quasi in analogia con il circolo biologico della vita, una poetica 'inseminazione' dei segreti valori dello spazio albertiano- sembra essere il rovescio di Blur, in quanto quei valori segreti che sono l'essenza dell'architettura, in questo progetto restano racchiusi al suo interno.
Blur è la nuvola artificiale ideata da Elisabeth Diller e Ricardo Scofidio per l'Expo. 02. Posta in sospensione sul pelo delle acque del lago di Neuchâtel, "just tipping lake", è una delle quattro arteplages realizzate per altrettante località della regione dei Tre Laghi: Biel-Bienne, Murten-Morat, Neuchâtel, Yverdon-les-Bains.
Ciascun arteplage -neologismo che definisce un intervento in un luogo situato tra terra e acqua, e strettamente connesso con la città- sviluppa autonomamente un suo tema: "Power and Freedom", "Moment and Eternity", "Nature and Artificiality", "I and Universe"; ognuno dei quali è rispettivamente interpretato da: Coop Himmelb(l)au, Jean Nouvel, Multiparck, D+S.
Esiste, altresì, una quinta arteplage, una chiatta mobile, ideata da Didier Faustino e il gruppo Dyne, e costruita come strumento di collegamento tra i diversi interventi, il cui tema è "Meaning and Movement".
Il progetto dell'ampia area lungo la riva del lago, destinata allo spettacolo, all'esposizione e allo svago, a cui la sognante isola tecnologica di D+S direttamente si lega, è del gruppo West 8, unitamente a Vehovar & Jauslin e Tristan Kobler.
La sorprendente opera di D+S, è composta da una complessa struttura metallica, ancorata su quattro piloni di sostegno (ancorati sul fondo del lago), e su un sistema tensostrutturale che mantiene in sospensione, all'interno del grande 'fiocco nebbioso', un intricato disegno di passerelle, scale e superfici dolcemente ondulate per la sosta dei visitatori; oltre che da un complesso apparato per il filtraggio e la nebulizzazione dell'acqua che produce l'effetto formante della figura architettonica. La sua configurazione, nonché la sua persistenza nel tempo, è il prodotto dalla combinata azione: della pressione delle pompe esercitata sul liquido, e della sua atomizzazione attraverso gli effusori [nozzles].
«La proposta mediatica che stiamo approfondendo per la prima volta in Svizzera in occasione dell'Expo », afferma Diller, «presenta e trasforma la convenzione dello 'spettacolo' attraverso un nuovo modello di scenario degli eventi, il primo fenomeno comunicativo di massa» .
Per entrare nella nuvola, gli utenti debbono munirsi di un impermeabile e, abbandonando la riva, percorrere un lungo e stretto pontile che sfiora la superficie del lago. Nel loro procedere, la densa e bianca caligine che sempre più li avvolgere, nasconde fino alla totale scomparsa, la loro identità materiale.
L'effetto destabilizzante che trasmette tale spazio indeterminato e impenetrabile, rispetto alla comune percezione della realtà fisica dell'ambiente che ci circonda, punta alla creazione di un nuovo sentimento del sublime, come risultato di un elaborato rapporto, fisico e mentale, con un sofisticato prodotto della tecnologia. «L'obiettivo del progetto è quello di produrre un 'sublime tecnologico'», afferma Scofidio, «parallelo al 'sublime della natura' sperimentato con la massa nebbiosa indistinguibile e senza dimensione. Questa nozione di sublime, in effetti, prende forma rendendo palpabile l'ineffabile e privo di scala lo spazio e il tempo di una comunicazione globale» .
La singolare opera dei due architetti americani -il cui percorso di ideativo e realizzativo è ora raccolto in un volume intitolato Blur. The making of nothing -si colloca in quel filone di ricerca che persegue l'affermazione dell'espressione architettonica come esigenza di riconquista della propria autonomia di linguaggio.
Per uscire da quello che D+S considerano la condizione limitativa dell'architettura, che ne inibisce le possibilità comunicative, essi indirizzano la propria ricerca sull'oggetto architettonico verso un processo di autoriflessione e di concettualizzazione; introducendo, in questo modo, il concetto di 'corporeità', al fine di recuperare la "condizione dell'esperienza", relativa alla sua materialità, piuttosto che quella della sua visione.
Essi trasferiscono nello spazio reale la conoscenza degli spazi virtuali, mutuandone i principi dalla rete, ricreando la sensazione del 'perdersi' all'interno dell'architettura. Nasce, così, un modo di configurare le forme nello spazio ricorrendo all'impiego di una 'materia-non-materiale', vale a dire attraverso l'adozione di un pulviscolo denso e impalpabile quale quello di Blur. Tale ricerca di 'ridefinizione' dello spazio ha il fine di conferire un significato astratto-concreto all'immagine architettonica.
L'intento di tale ricerca è quello di mettere in atto un diverso congegno generativo dell'architettura, ponendo, all'interno del processo progettuale, il tramite di una 'materia-non-materiale' finalizzata ad una rappresentazione che trova un senso solo nella diretta esperienza dell'evento; tale realtà, diversamente dalle tradizionali forme comunicative, per configurare lo spazio dell'esperienza, non può che vivere nella sintesi operata attraverso tre capisaldi che sono: concretezza, interiorità, immaterialità dell'oggetto.

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