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Due contesti per le architetture di Gianluca Fedi
Rivista Metamorfosi N° 46
di luglio agosto settembre, 2003
Autore: Michele Costanzo
Articoli Gianluca Fedi può essere considerato in una prima sommaria classificazione come un brillante rappresentante della giovane avanguardia architettonica italiana. E, com'è nella tradizione delle numerose avanguardie che hanno percorso in Novecento, pur nella diversità dei loro orientamenti programmatici, hanno tutte avuto come fine primario, nonché come tratto identitario comune (etico prima che estetico) l'esigenza di svelare all'umanità un nuovo modo di essere del reale ed un diverso modo di relazionarsi ad esso.
In tal senso, Fedi si fa carico di interpretare, attraverso le sue opere, la nuova fisionomia del "paesaggio artificiale" in cui ci troviamo a vivere; e, per quanto riguarda il nostro paese, la sua nuova fisionomia, i cui tratti hanno cominciato a delinearsi in maniera sempre più accentuata sulla spinta delle profonde trasformazioni sociali, economiche politiche culturali avvenute negli ultimi vent'anni. Una modificazione che ha prodotto importanti trasformazioni nell'ambiente fisico ed ha investito, come osserva lo stesso Fedi, tutte le 'scale' su cui l'architettura esercita il suo controllo (intellettuale, se non operativo) e che va "dal cucchiaio alla città".
Un "paesaggio" che, sotto la pressione della "cultura della globalizzazione", tende sempre più a mutare la sua tradizionale natura, i suoi convenzionali caratteri, cercando nuove configurazioni.
La ricerca di Fedi, prende le mosse, dunque, dalle problematiche del 'cambiamento' di tale realtà, per ipotizzare una serie di nuovi spazi fisici, identificare nuove, possibili "scene fisse per la vicenda dell'uomo" (Rossi).
Il linguaggio che egli adotta è, a un tempo, metafora e tecnica rappresentativa della realtà stessa che intende interpretare/rappresentare. Egli parte dalla decoposizione di un universo formale (che comprende realtà e sua rappresentazione) e da essa attinge per ricomporne i 'frammenti' attraverso il meccanismo del collage e puntando, prima che a ritrovare un nuovo ordine logico, a produrre uno stato emotivo, una tensione sentimentale, una sollecitazione intellettuale.
Il contesto, per Fedi, non è più il genius loci, ma (in una visione più allargata) è ambito culturale, spaziale, temporale; in tale operazione, allora, esso sembra porsi come interlocutore privilegiato di ogni percorso ideativo del progettista, suo mentore e suo cantore.
Da tale premessa, il processo ideativo dell'architetto pistoiese prende forma a partire dal rapporto con Peter Cook (Fedi ha studiato alla Bartlett School) e dall'indirizzo teorico che l'architetto inglese ha saputo sviluppare a partire dall'esperienza degli Archigram (basata sull'intersezione tra Pop Art e High-Tech), fino a una più recente sperimentazione in chiave metamorfica, ossia attraverso operazioni di ibridazione, mutazione di figure (o elementi naturali/artificiali). L'operazione di Fedi, tuttavia, tende ad allargare tale esperienza e a ricondurre (quando se ne presenta l'occasione) il referente formale al nostro patrimonio culturale che è entità stabile del nel nostro "paesaggio".
E' il caso dei due progetti qui presentati. Il primo riguarda una Torre-studio degli U2, a Dublino. Si tratta di un edificio polifunzionale e si compone di due elementi: una piattaforma e una torre. Qui il contesto è una zona portuale e l'immagine architettonica prende sforma dall'incrocio tra due immagini: una nave e un faro. La piattaforma-nave di forma allungata, si sviluppa su quattro piani all'interno dei quali trovano luogo: ristorante, bar, night-club, e uffici. Il suo involucro esterno è costituito da una struttura trasparente in vetro e acciaio, «contornata da una contro-parete in rete metallica sul fronte marino a nord, fornendo un ambiguo effetto di trasparenza» . La torre-faro, è composta da due volumi strettamente congiunti: il primo è un prisma a base rettangolare posto su un punto estremo della piattaforma verso il canale frontistante, il secondo a base triangolare, è rivestito in vetro e si protende a sbalzo lungo la stessa direzione, ancorato ad una sua parete del primo. I due corpi congiunti accolgono al loro interno uffici ed appartamenti. Alla loro sommità è situato un ulteriore corpo prismatico, in vetro e acciaio, che si protende al di fuori dei margini della figura che lo sorregge in direzione opposta al canale, dove si trova lo studio del complesso U2.
Il secondo concerne un Museo d'arte contemporanea, a Firenze. Il progetto si relaziona strettamente al tessuto storico della città; è situato lungo l'Arno all'incrocio con Ponte Vecchio. «Il progetto è basato su un sistema strutturale che utilizza in modo decostruttivo, il modulo seriale del "Passaggio vasariano" [...] per definire la propria configurazione strutturale e formale» . Il museo è concepito come un "contenitore architettonico", sospeso su pilastri per una totale permeabilità visiva; presenta affacci e aperture sul versante dell'Arno, mentre è chiuso verso la città. Il tetto a lama è l'elemento caratterizzante del progetto e funziona come un grande schermo a scala urbana. «La copertura a lama diventa uno "Specchio della Contemporaneità" connettendo in modo dinamico le tracce del "Passato" (contesto storico), del "Presente" (contesto fisico) e del "Futuro" (contesto culturale, spaesamento, globalizzazione), giocando fra "Immagine" (de-materializzazione fisica) e "Materia" (materialità virtuale)» .

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