Articoli 2000/2022
 

Archivio articoli
Stefano Pagazzani-Romolo Stanco. Studio di registrazione a Tevernago Piacenza
Rivista L'architettura.Cronache e storia N° 593
di marzo, 2005
Autore: Michele Costanzo
Articoli Elfostudio è una interessante e problematica opera realizzata da una coppia di giovani architetti, Stefano Pigazzani e Romolo Stanco.
Colleghi di università al Politecnico di Milano, conseguita la laurea nel 1998, decidono aprire lo studio insieme. Il comune obiettivo, che darà una precisa impronta alla loro attività, è quello di superare lo scollamento tra "idea e progetto concreto" che essi riscontrano nell'insegnamento delle nostre università. "Gli architetti sono sempre stati considerati poco concreti", afferma Stanco, "era divertente smentire questa cosa. Così, a partire dagli ultimi anni di università, con il mio collega Stefano [...] mi sono messo a studiare materiali innovativi. Ne abbiamo fatto una tesi di laurea, molto contestata al Politecnico, ma premiata dall'Istituto Nazionale della Fisica della Materia".
L'appoggio della rivista «Focus» spingerà gli architetti a proseguire nella loro ricerca fino a sviluppare un prototipo.
A rafforzare la fiducia nella loro scelta d'indirizzo tutta rivolta alla concretezza del fare, la recente vittoria nella seconda edizione del concorso Piacenza Produce Innovazione per l'ideazione di un sistema costruttivo automontante, composto di materiali altamente tecnologici finalizzati a realizzare in maniera rapida padiglioni d'accoglienza, magazzini, strutture espositive per fiere.
La sala di registrazione Elfostudio in buona parte riflette l'interesse degli architetti per la componente tettonica del costruire, di cui si è fatto cenno, nonché per l'impegno nell'ideazione e nel controllo di un complesso insieme di dettagli, come la specifica situazione progettuale richiede.
Nell'organizzazione degli spazi e nella configurazione dei volumi, infatti, è stato necessario sviluppare una particolare attenzione alle esigenze connesse al suono e della propagazione acustica. Sulla base di ciò, l'intento dei progettisti è stato quello di creare nell'organismo una diretta correlazione tra i diversi ambienti e le funzioni che in essi vi si svolgono. "Un intenso studio sulle questioni relative alla diffusione sonora ha condotto alla scelta di materiali e soluzioni geometriche profondamente innovative. Non gratuiti giochi estetici, ma forme al servizio rigoroso della funzione"
L'immagine dell'oggetto architettonico corrisponde specularmente, dunque, nell'intenzione degli autori, al suo programma. E questa stretta correlazione che essi hanno voluto stabilire tra i due termini (quello formale e quello funzionale) porta tale proposta a rovesciare il significato stesso dell'indirizzo teorico cui l'immagine volumetrica fa esplicito riferimento, il cui principale obiettivo è quello del superamento del funzionalismo mediante la rottura della gabbia in cui, storicamente, era rimasta imbrigliata la forma: un ristretto, contenuto ambito all'interno della quale era rimasta compressa, limitata e svuotata di senso. Da qui, una tensione a ricercare nuove valenze espressive che, con la decostruzione, giungerà alla messa in crisi dello spazio cartesiano, in cui ogni oggetto assume una sua precisa e individuale collocazione.
L'idea che sostiene l'accumulo di unità formali di varie dimensioni, materiali e colori che compongono l'iconografia architettonica di questo progetto è quella del collage: un insieme discreto di entità formalmente autonome, ma legate tra loro per una sottile attrazione magnetica. Un'azione coesiva tra i diversi ambienti di lavoro che il volume centrale dell'atrio opera con l'ausilio dell'incombente presenza della piramide rovesciata in vetro "[...] che imprigiona l'ambiente esterno al centro esatto di quello costruito" .
Sembra che gli autori, in questo progetto, abbiano voluto coniugare due logiche formali in sé antitetiche (l'una disgregativa e l'altra unitaria), puntando a perseguire una sorta di 'fusione', e ricercando in essa spazi di nuova libertà, come accade con il jazz. Del resto è lo stesso Frank Gehry ad affermare che "[...] l'architettura deve, per prima cosa, tenere in considerazione la questione funzionale. Dato per acquisito tale principio, bisogna poi considerare che i lavori degni di interesse in ogni campo, sono sempre entrati in rapporto con numerosi altri livelli. Sono proprio questi ultimi, non legati alla funzione, che consentono all'architettura di raggiungere il massimo delle sue potenzialità e di venire utilizzata dalla società come uno dei mezzi attraverso cui esprimere la coscienza individuale e collettiva" .

Articoli Articoli