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Testimonianza intensa. Moshe Safdie
Rivista L'Arca N° 208
di novembre, 2005
Autore: Michele Costanzo
Articoli Il progetto di Moshe Safdie per lo Yad Vashem Holocaust History Museum a Gerusalemme (2000-2005), si presenta come un intervento per certi versi atipico rispetto al carattere risoluto e forte che ha sempre avuto la sua architettura.
Il tema della densità e dell'industrializzazione edilizia sono stati fin dagli esordi della carriera, verso la fine degli anni Sessanta, i punti cardine della sua ricerca. La sua azione progettuale nel perseguire l'indirizzo della "grande dimensione" ha cercato d'individuare nella sperimentazione sull'oggetto macrostrutturale un'alternativa e un superamento possibile dei limiti dell'insediamento urbano tradizionale. In tempi più recenti, la sua attività progettuale (in Canada, in Israele, negli USA, etc.) pur rivolta al tessuto della città, non ha rinunciato all'impegno nella configurazione di strutture dominanti, tese a conquistare una posizione emergente in ambito urbano, sia in senso dimensionale, che formale.
In questo progetto Safdie, dunque, rovescia totalmente la sua posizione 'ideologica' nei confronti del contesto, realizzando un intervento dove la natura ha il primato sull'architettura; non rinunciando, peraltro, con questa scelta alla realizzazione di un segno iconico intensamente espressivo e un impianto spaziale chiaramente riconoscibile, ricco di suggestioni formali.
«Il mio primo pensiero in termini progettuali», ricorda l'architetto, «è stato quello di mantenere il carattere pastorale del luogo evitando di porre sulla sua cima un grande volume museale del tutto inappropriato. Così, molto presto nel processo progettuale ho avuto la sensazione che qualcosa volesse entrare nella montagna [...], che letteralmente la intendesse trapassare da un lato all'atro».
L'edificio di Safdie è un ampliamento del Yad Vashem Holocaust Museum che raccoglie la storia e le testimonianze dell'Olocausto.
L'intervento consiste nell'organizzazione di una serie di volumi distinti, dislocati lungo il Mevoah, un percorso ipogeo a sezione triangolare in cemento armato, lungo 200 metri e alto 18 metri, che è il cardine della composizione. «La forma triangolare della struttura», nota Safdie, «è stata scelta per contrastare la pressione della terra sul prisma». Esso attraversa la sommità del colle Yad Vashem sbucando, poi, all'esterno come una sorta di balcone per godere della seducente visione della vecchia Gerusalemme verso la Ein Kerem Valley.
La sezione triangolare del prisma varia nel suo avvicinarsi al centro e la superficie di percorrenza è leggermente inclinata per dare l'illusione di scendere nella profondità della montagna. Le due pareti laterali nel loro convergere verso l'alto trovano conclusione nel lucernario che illumina l'interno e, debolmente, anche le sale destinate alle presentazioni multimediali. «Ho avuto l'idea che le gallerie dove sarebbe stata narrata la storia dell'Olocausto»‚ afferma l'architetto, «sarebbero state come dei resti archeologici o scavi nella roccia naturale».
Alla fine del percorso attraverso il museo storico, si trova la Hall of Names, una struttura conica alta 10 metri che raccoglie al suo interno pagine di testimonianze di tutte la vittime conosciute dell'Olocausto. Un cono simmetrico sotterraneo, coperto d'acqua riflette invece sulla sua superficie le immagini contenute nella figura superiore, ed è dedicato alle vittime sconosciute.
Nella vasta area verdeggiante del Mount of Remembrance sono anche inclusi il Yad Vashem Children's Museum (1976-1977) e il Yad Vashem Transport Memorials (1990-1995), posti in posizione leggermente distanziata rispetto al recente intervento di Safdie del New Holocaust Art Museum, mentre la Synagogue, l'Exhibition Pavilion, il Visual Center, il Lerning Center e il Visitors Center, tutti realizzati dall'architetto israeliano negli anni precedenti, tendono a fare corpo unico con la nuova struttura.

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